Vi siete già dimenticati dei profughi afghani? Applausi. L’ultima richiesta di aiuto arrivata a me, che non ho nessun potere tranne quello debolissimo della penna, riguarda il colonnello Aziz Ahmad Noori, che ha combattuto per molti anni contro il terrorismo dei talebani, ha frequentato due master in Italia – l’ultimo con il Centro Alti Studi della Difesa. Un giorno prima che i talebani entrassero a Kabul, si trovava in Turchia per far curare sua madre ed è rimasto ostaggio della sua disperazione. Tornato in Italia, nonostante i numerosi tentativi di far evacuare la moglie, il fratello e i cinque figli di cui quattro femmine che erano sulla lista delle persone da portare in Italia, non è riuscito a farli partire. In pericolo di vita, continuano a restare nascosti, dopo oltre un mese dalla presa di Kabul e lui si interroga sul senso della sua vita, della sua missione, delle sue medaglie per la lotta al terrorismo che non sono servite a mettere in salvo la famiglia che ha appena lasciato il rifugio provvisorio dopo un ennesimo attentato. Che l’informazione sia diventata superficiale e sincopatica è un’osservazione quasi banale. Che si inseguano l’emotività e la pancia dei lettori è lapalissiano. Ma sui profughi afghani nutrivo qualche vana speranza. E invece le loro sorti sono diventate sì oggetto di diplomazia estera sotterranea per aiutare alcuni dei molti che non sono riusciti a lasciare in Afghanistan, ma i media hanno spento ogni tipo di luce, anche su quelli che siamo riusciti a salvare. Ora, al di là delle considerazioni che si possono fare sulla folle evacuazione che si è trasformata in un’infernale lotteria e ha portato a scegliere spesso casualmente chi far sopravvivere e chi no, mi chiedo come mai il loro destino non susciti più interesse. Perché sono stati trasferiti a piccoli gruppi in tante città diverse e talvolta accolti in piccole comunità? Perché non li si vede per strada e bisogna andare a cercarli per guardarli negli occhi? Secondo Mario Giro, fondatore di Demos, in tutta Europa ne sono arrivati già 100mila. Non hanno usato barconi ma aeroporti. È per questo che ci stiamo dimenticando di loro? In un centro di accoglienza ho visto gli occhi smarriti di tante giovani che, una volta scampato il pericolo, non riescono a capacitarsi di non poter più rivedere il loro Paese. Con un desiderio smanioso di raccontare la loro storia, di essere ascoltate. Ma quando ho varcato l’uscio di un centro di accoglienza non ho trovato la fila di giornalisti interessati ai loro nuovi concittadini che non sono di passaggio. Non ne parliamo più perché non sono migranti ma avrebbero voluto vivere in Afghanistan? Dunque cosa vogliamo fare? Continuare a dibattere di Green pass e di no e boh vax? Il loro futuro invece non ci riguarda?
Sono stati scritti oceani di inchiostro sul perché l’Italia sia sempre stata lasciata sola ad affrontare flussi di migranti economici da aiutare o respingere e malvisti perché non erano professionalmente qualificati. E ora che abbiamo protetto persone che hanno studiato, professionisti, militari, atleti chissenefrega e ciaone?
Oceani di inchiostro sui diritti delle donne negate, che non possono lavorare né studiare sotto il regime talebano, ma nessuno è andato a vedere come potranno studiare e lavorare in Italia. Eppure non basta salvare le persone. Tutto quello che viene poi è la fase più delicata e complicata. E infine. Se non aiutiamo un colonnello addestrato dalla coalizione internazionale che ha studiato in occidente, cosa accadrà a chi non ha medaglie sulla casacca? Colleghiamo il cuore (e la pietas) alla testa e non facciamo calare il silenzio sul destino dei profughi afghani. Anche delle migliaia di fuggitivi abbandonati sulla rotta balcanica da anni. È una questione politica ma anche di etica dell’informazione.
Diversity Leadership
Nel frattempo non ci dimentichiamo delle nuove generazioni che hanno bisogno di essere ispirati e stimolati per rafforzare il loro percorso di partecipazione alla vita sociale e politica. Primo spoiler. Al workshop del 29 ottobre alla fondazione Riccardo Catella, organizzato con la collaborazione del Consolato Generale degli Stati Uniti di Milano, parteciperanno fra gli altri l’attore Alberto Malanchino, il rapper Tommy Kuti, il pittore Luigi Christopher Veggetti Kanku, la chef, blogger e scrittrice texana Laura Evans, la creator digitale (e molte altre cose) Aida Aicha Bodian per parlare della loro leadership e confrontarsi nel pomeriggio con un gruppo di studenti. E il 19 novembre saremo all’università di Parma per un altro seminario dedicato allo stesso tema, ma focalizzato sui medici di origine straniera. Per ora mi fermo qui. Altre pillole nel nostro splendido progetto nella prossima newsletter. Restate connessi e vigili!
Breve rassegna stampa di NRW
Elezioni diverse? La rubrica di NRW dedicata ai candidati con background migratorio che scendono in campo per le elezioni comunali: questa settimana Margherita De Gasperis ha fatto un giro a Torino: L’Italia che cambia al voto: Abdullahi Ahmed e Marco Lussemburgo ha raccontato storie di candidate alle amministrative di ottobre che in tutti i grandi centri urbani scendono in campo per la prima volta numerose: L’ Italia che cambia al voto (era ora) con candidate di origini straniere. Ingiustizie che non si possono accettare. La prossima udienza di Patrick Zaki sarà il 28 settembre, ma Roma stenta a intervenire. Eppure rendere lo studente cittadino italiano farebbe la differenza. Il commento di Sindbad il Marinaio. Consigli di letture. Questa settimana NRW vi propone la recensione di Fabio Poletti e un estratto della graphic novel A casa di Sandrine Martin: immagini di una storia simbolica di gravidanza e migrazione.