Verrà la morte (di un bimbo migrante) e avrà i tuoi occhi. Dopo oltre un anno di sofferenza condivisa, non siamo più sulla stessa barca ma dobbiamo avere la forza morale di continuare a interrogarci sulla banalità del male. Era il 3 settembre del 2015 quando l’immagine di Alan Kurdi, il bambino siriano di etnia curda trovato sulla spiaggia di Bodrum in Turchia, fu vista da milioni di persone. Allora il suo corpo inerte nelle braccia del soccorritore scosse le coscienze di molti e suscitò una furibonda polemica sull’uso delle immagini brutali ma poi quella fotografia è diventata il macabro simbolo della rotta balcanica, la tragedia annunciata dei respingimenti. Sono passati cinque anni e mezzo e ora il volto coperto dalla sabbia di un bimbo abbandonato sulla spiaggia di Zuwara non sembra scuoterci. Perché? Scesi o quasi dalla stessa barca del terrore del Covid, lo vediamo come un orrore che non ci riguarda.
Verrà la morte (di un bimbo migrante) è avrà i tuoi occhi. Cecilia Strada ha scritto: «La sabbia sulla faccia, che quasi non si vede più. Un bambino ha una camicetta, un po’ verde, un po’ blu. Uno è avvolto in una coperta con i fiori, o forse è una tutina, di quelle con i piedi. Difficile distinguere che cosa è stoffa e cosa bagnasciuga». Come davanti all’immagine di Alan Kurdi ci si chiede se sia giusto gettare in pasto al mondo la fotografia di un bimbo annegato e, ancora peggio, abbandonato per giorni sulla spiaggia di un Paese che fa il lavoro sporco per conto dell’Europa intera.
Penso sia giusto guardare la morte negli occhi perché potevamo evitarla. Pur sapendo che non spezzeremo il legame torbido con la Libia che produce trafficanti e milizie, credo sia doveroso condividere l’immagine intollerabile di quanto accade. Il fondatore di Open Arms ha avuto il coraggio di mostrare al mondo le conseguenze della nostra inerzia davanti al dramma dei migranti in Libia. Non lo ha fatto a cuor leggero. E anch’io sono stata combattuta, ma si deve guardare negli occhi la morte dei bimbi per evitare di rassegnarci all’idea che sarà sempre così fino alla fine dei tempi.
I migranti muoiono perché abbiamo smesso di salvarli. E non lo diciamo noi, ma le Nazioni Unite. Nell’ultimo rapporto l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet, ha invitato il governo libico di unità nazionale, gli Stati membri e le istituzioni dell’Ue a riformare con urgenza le politiche e pratiche di ricerca e salvataggio perché la mancanza di protezione non è una tragica anomalia ma la conseguenza di pratiche e decisioni politiche.
Non ci chiediamo più cosa stia succedendo oltre la nostra porta che si è finalmente aperta. Non ci interroghiamo più sulla linea che dovrebbe tracciare la distinzione fra il bene e il male. E deleghiamo alle organizzazioni umanitarie il compito di spezzare il silenzio su quanto accade in Libia, con la complicità europea. Siamo indifferenti perché, ora che non siamo più tutti sulla stessa barca della pandemia, vogliamo solo recuperare il tempo perduto. Ma io voglio sapere a chi appartenevano quei corpi. Voglio conoscere i loro nomi. E voglio mostrare quell’orrore a cui non abbiamo la forza di reagire. Guardiamoli questi corpi abbandonati dai libici sulle spiagge. Guardiamo quel bimbo ricoperto dalla sabbia che invoca pietas. La sua tragedia ci riguarda.
Cosa faremo una volta tutti vaccinati? Ignoreremo i flussi migratori gestiti dai trafficanti, ascolteremo distratti vecchi slogan dei politici che come prima della pandemia hanno ripreso a cavalcare il tema migratorio in modo svogliato? Lasceremo le organizzazioni umanitarie a gridare nel deserto del Mediterraneo?
Una volta elaborato il lutto per i nostri amici, parenti, conoscenti ci ricorderemo di loro? Non cediamo al silenzio. Siamo scesi dalla barca della paura, ora fermiamo (almeno proviamoci) le barche dell’orrore.
Rassegna di NRW
Video da vedere. Sara Lemlem ha fatto una lunga conversazione con Haroun Fall che, a differenza della gran parte degli attori afroitaliani scelti per la serie Zero attraverso lo street casting, ha studiato teatro e poi cinema dall’età di 13 anni. Ci ha raccontato la sua esperienza nel mondo del cinema e del teatro e di come mai in Italia ci siano ancora così pochi attori di origini straniere: Haroun Fall: dagli studi in teatro a Netflix con Zero. Notizie da non dimenticare. Il 25 maggio del 2020 George Floyd è stato ucciso, ma gli omicidi degli afroamericani non si fermano. Il commento, dati alla mano, di Sindbad il Marinaio: George Floyd, perché ricordarlo non basta. Premiato agli Oscar 2021, Due estranei è un omaggio alle vittime della violenza razzista da parte della polizia. Elisa Mariani spiega perché vale la pena di guardarlo: Due estranei. Il loop temporale del corto antirazzista di Netflix per ricordare George Floyd. Storie e musica di questo mondo multiculturale. Da promessa della Roma alla trap, fino al palco di Iper, il primo festival diffuso delle periferie, MOJO ha raccontato a Mariarosa Porcelli cosa sono per lui musica e identità: MOJO: «Non sono sceso in piazza per BLM ma credo si debba farlo per i braccianti». Libri da leggere: Il long read scelto questa settimana da Fabio Poletti è tratto da Il randagio e altri racconti (Carbonio Editore) di Sadeq Hedayat. Una Teheran che non esiste più, narrata da un monumento della cultura persiana.
Ps. Il mondo si muove e noi allarghiamo gli orizzonti. Consapevoli delle diseguaglianze che devono essere colmate, non rinunciamo al sogno di costruire l’accademia dei talenti che entrano nella nostra comunità, continuiamo a valorizzare la diversità che è una leva per una società più produttiva e creativa. Mettiamo in cantiere progetti, seminiamo coesione sociale, ci prepariamo alle riaperture con rinnovato ottimismo. Ma la sofferenza della pandemia non ci ha reso silenti davanti alla morte di migranti che non abbiamo saputo e voluto salvare. Entrate nella nostra comunità, vi aspettiamo.