Dedicato a chi da un anno continua a mettere fiori fra i cannoni. Dedicato a chi continua a portare speranza nelle città devastate, nei cuori spezzati, nelle menti ottenebrate da un conflitto che non sembra avere fine.
Stasera è la seconda notte a Kharkiv, ospiti da una cara amica. Arrivare qui, è un po' come sentirsi a casa. La giornata di oggi l'abbiamo passata tra la cittadina di Izium e i villaggi di Kamianka e Sinizevo, accompagnati da suor Sestra Olexia e padre Ihor Boyko, visitando famiglie e bussando casa per casa, lungo stradine innevate immerse nei boschi. Ovunque i segni della guerra: carri armati russi abbandonati e distrutti, rottami arrugginiti, migliaia di casse di legno svuotate delle munizioni russe; interi villaggi devastati. Izium ridotta a macerie, grandi spazi aperti lungo le strade, non praticabili, perché permane il pericolo delle mine; esplosioni notturne e qualche sporadico colpo diurno; ponti interrotti ed abbattuti, e potremmo continuare… quindi ci chiediamo che senso abbia per questa gente rimanere a vivere qui. Perché?
Inizia così l’ultimo post di Frontiere di Pace, l’organizzazione nata da un gruppo spontaneo di volontari di due parrocchie comasche. Un gruppo che seguo quotidianamente perché l’ho visto crescere, dopo un viaggio umanitario fatto con alcuni di loro nel maggio scorso. Continuare a seguirli serve a ricordarmi che le tragedie, nostre e altrui, non si devono subire. Che quella guerra così vicina è ancora in corso e non si sa come e quando finirà.
Cerco sempre di ricordarmi dov’ero, quando una tragedia collettiva ci colpisce. Voi lo fate? Dov’ero, dove eravate, quando è iniziata la pandemia? Dov’ero, dove eravate, quando è iniziata l’evacuazione in Afghanistan? Dov’ero, dove eravate, quando è iniziata l’invasione in Ucraina che ha riesumato i peggior incubi europei? Anche se sono stata coinvolta da altre tragedie, come la rivolta e la barbara repressione in Iran, io non voglio dimenticare e voi? Perciò riporto quanto di grande riescono a fare persone normali, che alla guerra rispondono con opere di bene. Con un impegno che non segue le marea dell’emotività che poi scema, quando il film diventa ripetitivo e si gira canale su una nuova emergenza, ma è costante e soprattutto costruttivo.
Hanno vissuto la battaglia casa per casa e sono sopravvissuti, hanno vissuto l'occupazione russa e anche in questo caso sono sopravvissuti, ora devono resistere alla mancanza di quasi tutto: al freddo, alle privazioni e anche all'insicurezza. Torneranno i russi? Tornerà la guerra? La loro risposta toglie il fiato. Questa gente ha già vinto. Non siamo a Kharkiv a collezionare "cose brutte", rimaniamo colpiti e meravigliati dalla bellezza della persone che incontriamo e che punteggia l'immensità di questa terra. Grazie
A scrivere questa breve riflessione è stato il coordinatore del gruppo di Frontiere di Pace, Giambattista Mosa, che insieme ad altri volontari è riuscito a portare a termine la sedicesima missione in Ucraina: 20 tonnellate di aiuti umanitari grazie al progetto Un bilico per Kharkiv e Kherson. E si tratta di un gruppo di persone, generose ed operose, non una mega organizzazione strutturata per le emergenze. Per questo motivo voglio divulgare le loro immense opere di bene, organizzate per portare aiuti e mettere fiori fra i cannoni. Vi segnalo il loro sito, dove potete informarvi, mettervi a disposizione, fare una donazione.
Dei primi giorni di guerra, ricordo lo sconcerto e l’urgenza di tanti cittadini che si sono precipitati ai confini della Polonia per aiutare i profughi e portarli in Italia, dare loro un rifugio che si immaginava allora fosse temporaneo. E quel ritrovato senso di unità, come cittadini europei, davanti a quella “cosa” più grande di noi che ha fatto Putin agli ucraini, al popolo russo, all’Europa. Dei primi mesi di guerra, ricordo il viaggio con persone straordinarie in un campo profughi polacco. E settimane di incubi notturni.
Degli ultimi giorni e mesi di guerra, prima di questa distratta vigilia, vedo quello che vediamo tutti: disinteresse, ipotesi peregrine su un piano di pace, diatribe ideologiche e gaffe dei politici. Perciò voglio commemorare così il primo anno di guerra che non avrei, non avremmo voluto vedere (e no, non parlerò dell’invio delle armi) con le parole di chi mette dei fiori fra i cannoni. E ricordando anche chi, fra le macerie, ha ristrutturato alloggi per permettere alle famiglie di rientrare nelle loro case. Come ha fatto Terres des hommes, in collaborazione con il Center for Social Communication, il Comune di Irpin, Irpin reconstruction summit per garantire un alloggio sicuro e un riparo dignitoso alle famiglie che cercano un ritorno alla normalità.
Siamo stati esposti al freddo (ma ci si copre, noi almeno); alle esplosioni (ci si fa l'abitudine, tutti) e alla sofferenza dignitosa delle persone. Ma non ci si abitua mai alla sofferenza
E neanche alla propaganda di Vladimir Putin che ha invaso l’Ucraina nella notte del 24 febbraio 2022.
La mia reading list
⭐️ I libri di NRW: Le rive della collera
L’isola Diego Garcia è un puntino nel cuore dell’Oceano Indiano. Divenne famosa al mondo nel 1991 perché dalla base militare americana, avuta in concessione dai britannici, partivano i bombardieri verso l’Iraq durante la prima Guerra del Golfo. Identiche missioni nel 2001 contro l’Afghanistan e due anni dopo ancora contro l’Iraq. Un’isola che è un paradiso, con un passato assai travagliato, finita dritta nel libro della franco-mauriziana Caroline Laurent, nata nel 1988, professoressa associata di Letteratura Moderna alla Sorbona di Parigi. Il libro dal titolo Le rive della collera, pubblicato dalle Edizioni e/o, va a scavare nelle radici della scrittrice, tornata più volte a Diego Garcia, raccontando un episodio che pochi conoscono. Marzo 1967. Marie-Pierre Ladouceur vive a Diego Garcia, nelle isole Chagos, un arcipelago annesso alle Mauritius, fino a quel momento colonia britannica. Va a piedi nudi, libera e senza freni. Incontra Gabriel, un mauriziano che è venuto ad assistere l’amministratore coloniale. Un uomo di città. Un’eleganza incredibile. Nell’arco di pochi mesi, Mauritius diventa indipendente dopo centocinquantotto anni di dominazione britannica, ma le isole Chagos restano alla Gran Bretagna. A poco a poco, la vita quotidiana cambia e il buio avanza, fino al giorno in cui i soldati convocano gli abitanti dell’isola sulla spiaggia. Hanno solo un’ora per abbandonare la loro terra, i loro animali, le loro case, i loro legami. E per quale motivo? Per andare dove? Dopo lo strazio arriva la rabbia, e con essa la rivolta. Presto, arriverà anche il tempo della giustizia…Ma come abbiamo visto, il dominio coloniale britannico e americano, è tutt’altro che finito. La base Usa di Diego Garcia con il suo carico di B52 ultima versione pieni di bombe rimarrà attiva almeno fino al 2036, pronta a trascinare all’inferno chissà quali Paesi, partendo da questo paradiso. Il long read scelto e recensito da Fabio Poletti è tratto da Le rive della collera di Caroline Laurent. L'isola Diego Garcia, tra mistero, storia e colonizzazione.
⭐️ Seconde generazioni a chi?
Cosa significa essere immigrati di seconda generazione? È corretto il termine “immigrati”? O, ancora, è corretto il termine “seconde generazioni”? Per dare voce alle giovani generazioni con esperienza migratoria, la Cgil Emilia-Romagna promuove una ricerca per esplorare aspirazioni ed aspettative di cittadine e cittadini che costituiscono non solo il presente, ma ancor più il futuro. Benvenuti nel terzo millennio. Se volete partecipare al questionario e dare qualche lezione di comunicazione sulle nuove generazioni, cliccate qui.
⭐️ Ventottesimo Rapporto ISMU sulle migrazioni 2022
Verrà presentato il primo marzo dalle 9.00 alle 13.00 presso l’Aula Pio XI dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, in Largo A. Gemelli, 1, Milano.
⭐️ Grasso, brutto, pazzo: giù le mani da Roald Dahl
La censura dei libri di Roald Dahl da parte della casa editrice britannica Puffin, che ha modificato centinaia di espressioni e definizioni per adattarle al nuovo perbenismo, ha suscitato la protesta di scrittori italiani e una nuova polemica sulla cancel culture. L’articolo di MicroMega.
Al prossimo giovedì!