Tra i francesi che si incazzano e i giornali che svolazzano, ci sono gli afghani 'deportati'
La newsletter di Cristina Giudici
Ogni volta che i francesi alzano la voce contro l’Italia su temi migratori, ho una reazione pavloviana. Nella mia testa parte la canzone Bartali di Paolo Conte che è diventata universale. Quella in cui canta
Oh, quanta strada nei miei sandali
Quanta ne avrà fatta Bartali
Quel naso triste come una salita
Quegli occhi allegri da italiano in gita
E i francesi ci rispettano
Che le balle ancora gli girano
E tu mi fai, dobbiamo andare al cinema
E al cinema vacci tu
Tra i francesi che si incazzano e i giornali che svolazzano c'è un po' di vento, abbaia la campagna e c'è una luna in fondo al blu
Anche se non c’entra nulla con i temi drammatici di cui ci occupiamo, non posso controllarmi per via della mia smodata passione per Paolo Conte e per la perfida soddisfazione che provo davanti ai francesi che cercano, invano, di respingere i migranti provenienti dall’Italia. In teoria, hanno ragione: l’Italia non sa gestire i flussi migratori. In pratica no, perché è impossibile limitare la libertà di movimento né frenare il flusso consistente di tutti quelli che non si fermano in Italia perché sanno che qui finiscono in un limbo eterno. Infatti questa settimana voglio raccontarvi la storia di una parte della famiglia Hamasi, evacuata in Italia dopo il tragico ritiro dell’alleanza atlantica dall’Afghanistan. Sami Hamasi era l’allenatrice della nazionale femminile di football afghana. Arrivata in un centro di accoglienza milanese, ha capito subito che sarebbe stata parcheggiata a lungo e lei aveva fretta. Fretta di vivere, di inserirsi e soprattutto di tornare in campo. E così ha lasciato il nostro Paese per andare ad Amburgo, città molto più “refugees friendly”, dove è stata aiutata a integrarsi velocemente. Oggi vive in un distretto di Brunswick, nella Bassa Sassonia, dove sta giocando in una squadra locale, Vfl Bienrode.
Peccato che lei abbia lasciato la sua famiglia in Brianza: 25 persone che invece devono vedersela con la prefettura di Monza e Brianza che ha deciso di trasferire una parte della famiglia in un piccolo comune nella provincia di Salerno. La cooperativa che l’ha accolta li ha informati che, avendo ottenuto lo status di rifugiati, devono entrare in un progetto Sai, il sistema accoglienza e integrazione. Peccato che i suoi zii abbiano sei figli, in maggioranza minorenni, che stanno frequentando la scuola. Il più grande, Masood, ha 19 anni e sta per prendere la licenzia media.
Davanti al nostro rifiuto di trasferirci, ci hanno detto che verremo cacciati e finiremo per strada. E che i miei fratelli e sorelle minori verranno messi in una comunità per minori, mi ha raccontato Masood al telefono mentre si sentivano in sottofondo i singhiozzi della madre che non parla bene l’italiano ma continuava a ripetere questo drammatico mantra: disperata- medicine-depressione-paura
Una vicenda surreale oltre che paradossale: l’emergenza minori stranieri non accompagnati in Lombardia - dove non si trovano più posti per inserirli perché il sistema di accoglienza è al collasso per il numero troppo alto di richieste - è noto a tutti. Oltre ad essere illecito togliere i minori a una famiglia, dove li porteranno? Spero si tratti solo di una minaccia e chi l’ha fatta si renda conto del trauma di una famiglia (che in Lombardia studia, lavora e paga le tasse fra l’altro) già devastata dalle minacce ricevute in Afghanistan e dallo sradicamento involontario dopo l’indelebile ferragosto del 2021.
Fra le storture del sistema di accoglienza, c’è anche questa viltà. Il Servizio Centrale Sai, istituito dal Ministero dell’Interno Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, si basa sull’adesione volontaria dei comuni. E alla fine di marzo risultavano 934 progetti attivi (56 in Lombardia) in 1.800 comuni per 43.923 persone. E se in un comune non c’è posto, non esiste un progetto per rifugiati (o la cooperativa che ha l’appalto della prefettura ne ha preso un altro in un luogo dove i costi sono più sostenibili) si trasferiscono le persone come pacchi postali, sempre più spesso nel Sud d’Italia. Interrompendo improvvisamente e brutalmente il percorso di integrazione avviata. Vale per tutti, ma soprattutto per gli afghani che hanno nuclei familiari molto numerosi, sono difficili da collocare e pesano maggiormente sulle finanze dei comuni.
Quegli stessi afghani per i quali abbiamo pianto lacrime di coccodrillo quando sono stati presi in ostaggio dai talebani con la complicità dell’occidente che doveva difenderli. Lacrime di coccodrillo che poi abbiamo pianto per gli ucraini fuggiti dopo l’invasione russa e poi per le vittime del naufragio di Cutro e così via perché nella permaemergenza si fa zapping televisivo da un dramma all’altro
La famiglia Hamasi rischia di venire espulsa dal sistema di accoglienza il 22 maggio. E ci sono sette minori ai quali non verrà permesso di concludere i cicli scolastici di cui si parla tanto quando si deve ipotizzare un qualsiasi provvedimento ius qualcosa. Perciò quando sento i francesi criticare di nuovo l’Italia sull’incapacità di gestire i flussi (e ancora di più l’integrazione che resta sempre più spesso un’aspirazione o uno slogan), mi viene in mente la bellissima canzone di Paolo Conte, Bartali, ma poi penso seriamente che dovremmo cercare di convincere tutti i cittadini stranieri ad andarsene dall’Italia. In Francia, in Germania, in Svizzera, dove hanno sistemi più rigidi ma offrono più chance di farcela. Insomma una follia.
Leggiamo, facciamo cose e vediamo gente
⭐️ I libri di NRW: Antropologia e Teatro
L’unica zingara che ci piace è Carmen, la protagonista dell’opera di George Bizet tratta dalla novella di Prosper Mérimée. Opéra-comique chissà perché, secondo la definizione degli autori, anche se si sa come va a finire. Davanti a Carmen - bell’aspetto, abile di lingua e col coltello - dimentichiamo tutti gli stereotipi sugli zingari, ladri se uomini, puttane se donne e tutto il resto. In questa contrapposizione si inserisce il testo di Patrizia Pertuso, Antropologia e Teatro-. Intrecci e Corrispondenze, pubblicato da Mnamon editore. In questo saggio Patrizia Pertuso, doppia laurea in Metodologia della Critica Teatrale alla Sapienza di Roma e in Scienze antropologiche ed etnologiche all’Università Milano Bicocca, giornalista al quotidiano free Metro dove si occupa di cultura e spettacoli, guarda con l’occhio dell’antropologa le trame degli spettacoli di teatro. Nel saggio passano sotto il suo sguardo Turner e Turnbull, Schechner, Barba e soprattutto l’immenso regista teatrale britannico Peter Brook, morto a luglio del 2022, che dalla prima messa in scena del 1942 di Doctor Faustus di Christopher Marlowe non si è più fermato. Tra le sue regie memorabili rimangono I fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij, Romeo e Giulietta di William Shakespeare, Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller e mille altre. Tra le più recenti l’adattamento dell’epopea indiana del Mahabharata finito sul grande schermo con l’indimenticabile Vittorio Mezzogiorno scomparso troppo presto e appunto La tragédie de Carmen, messa in scena non più come opera comica ma, appunto, più appropriatamente come tragedia.
Spiega in un’intervista all’agenzia Agi Patrizia Pertuso: «Ho scelto di leggere quella donna zingara in chiave antropologica: in lei albergano tutti gli stereotipi che aleggiano su chi è diverso. Se poi quel diverso è donna, diventa immediatamente il simbolo del male. Brook nella sua opera ha “epurato” dalle connotazioni folkloriche quel personaggio, ha cancellato un “noi” etnocentrico che trova forma e sostanza solo nel confronto con l’”altro” e ha portato in scena una storia in cui non necessariamente il Bene e il Male si trovano su fronti opposti e vantano confini ben definiti. Puntare lo sguardo sull’altro senza aver bisogno di lui per affermare la nostra identità (o alterità) è quello che dovremmo fare un po’ tutti». Il long read scelto e recensito da Fabio Poletti per NRW.
😖 Gioventù bruciata
Un tentato suicidio al giorno. Più di tre milioni di Neet. Un ragazzo su cinque, tra i 10 e i 19 anni, ha problemi di salute mentale. Tre milioni di ragazzi e ragazze che soffrono di disturbi del comportamento alimentare. Il numero di maggio del magazine Vita è dedicato a una lunga inchiesta sul male oscuro della generazione Z. Da leggere.
✌🏽 Free Toomaj
Sono passati sette mesi dall’inizio delle proteste in Iran e dall’arresto, fra gli altri, del rapper Toomaj Salehi, considerato la voce della ribellione. Una nuova manifestazione della diaspora per chiedere la sua liberazione.
⭐️ Occupiamoci. Uno sguardo sull’Europa.
Uno sguardo su tutta l’Europa, delle proposte per l’Italia. Un’analisi ben fatta da Welforum.
Ci vediamo giovedì, daje