Dite e ricordate i loro nomi. Dite e ricordate i nomi delle giovani vittime dei matrimoni forzati. Non solo di quelle che per via di una tradizione oscurantista sono state punite dai familiari e hanno pagato la loro ribellione con la vita. Sono in maggioranza pakistane perché provenienti dalla comunità più impenetrabile, ma accade anche in quella bengalese e talvolta in quelle arabofone. Si scava per trovare il corpo della giovane italo-pakistana ma non abbastanza per infrangere il tabù dei matrimoni forzati nel 2021, in Italia. La politica si divide fra chi vuole considerare femminicidio questa barbarie e chi invece sottolinea il legame con la religione. Quello che mi preme scrivere in questo editoriale, però, non è dibattere sugli integralismi ma ricordare che bisogna grattare la superficie per capire il conflitto fra nuove e vecchie generazioni, ormai abissale. Fra chi vorrebbe le proprie figlie fedeli a un mondo che non è il loro perché sono cresciute in uno stato di diritto che punisce i matrimoni forzati, la violenza sulle donne, la segregazione e chi desidera, invece, la libertà di scelta.
Quando si legge o si dice “volevano vivere all’occidentale” si fa una grezza semplificazione. Le adolescenti che si ribellano ai matrimoni forzati sono molte di più di quanto si possa immaginare. Alcune si rifugiano in comunità protette che talvolta, come nel caso di Saman Abbas, non le proteggono abbastanza. Altre vivono una doppia vita, fuori e dentro casa, riuscendo anche a trovare un lavoro. Ma a quel punto vengono emarginate dalla famiglia, dalla comunità e subiscono una sorta di morte sociale. Per seguire la vita che hanno scelto, recidono rapporti familiari, cambiano città e imparano a convivere con la solitudine
Saman Abbas e le altre
Dite e ricordate i loro nomi. L’associazione Senza Veli sulla Lingua, guidata dall’anglo-yemenita Ebla Hamed, ha fatto l’elenco delle vittime più recenti. Da Hina Saleem, ventenne pakistana seppellita in giardino dai familiari, a Sanaa Dafani, sgozzata dal padre. Da Noshen Butt che si è salvata perché difesa dalla madre Shannaz Begum, uccisa a sprangate al suo posto dal marito e dal figlio. E ancora: Jamila, anche lei pakistana che chiese aiuto alla sua insegnante perché temeva di fare la fine di Hina. E Sana Cheema, uccisa in Pakistan dal padre perché si era opposta al matrimonio forzato con un cugino. Non a tutte viene tolta la vita. A Brescia una ragazza pakistana che ha rifiutato un matrimonio combinato è stata rinchiusa in casa, sottoposta a violenze psicologiche e violentata da un cugino per punizione. Potremmo andare avanti. Religione e tradizioni si incrociano sempre in queste tragedie, ma a far decidere di punire le figlie ribelli è soprattutto l’idea di essere disonorati davanti alla famiglia, al clan. Si tratta di tradizioni medioevali che vengono giustificate dall’alibi di una fede, quella musulmana, ma praticata in modo deviante, estremo e rozzo.
In una bella intervista, il giornalista e mediatore culturale Ejaz Ahmad ha spiegato: «La famiglia Abbas proviene da un villaggio nel sud del Punjab, dove c’è una cultura rurale basata sull’onore. Il matrimonio con il primo cugino è il fulcro di quella società, derivante dal sistema-caste in Pakistan, necessario affinché le terre restino alla famiglia. Lo stesso Primo ministro ha sposato una donna della sua tribù». E ha aggiunto: «Le seconde generazioni sono arrabbiate e vogliono una soluzione. Serve una riforma, un islam italiano, perché quello dei Paesi d’origine non funziona qui. I testi coranici vanno tradotti in italiano. Ma serve maggior collaborazione delle ambasciate per trovare un’intesa. Dobbiamo creare nuovi leader, imam moderni. Non ci possiamo aspettare una rivoluzione dai vecchi capi delle scuole religiose. Moschee e mediatori possono avere un grande ruolo nell’integrazione, solo così avrebbe senso il dibattito sullo ius soli». Difficile quindi separare tradizione e religione e liquidare gli omicidi punitivi etichettandoli solo come atti di misoginia. Anche perché, tranne alcune eccezioni, le madri sono consapevolmente complici. È fresca la notizia del messaggio mandato dalla madre a Saman per pregarla di tornare a casa dalla comunità. Come fa una madre a tradire la propria figlia? Come fa ad accettare venga uccisa? La società patriarcale, certo. Ma non basta per definire questo abisso in cui troppe giovani finiscono o rischiano di finire.
«Siamo di fronte ad una comunità sempre più chiusa, dove le vecchie generazioni, i padri, tendono a proteggersi l’un l’altro, e l’arma del controllo è micidiale», ha detto Usama Sikandar, 23 anni, vicepresidente dell’associazione Giovani pakistani in Italia. Ma siamo responsabili anche noi della scomparsa di Saman Abbas. Perché i datori di lavoro voltano le spalle davanti ai segnali di violenze e segregazioni per badare ai loro affari, interessati agli immigrati solo in quanto mano d’opera e quando è troppo tardi parlano, dicono che avevano capito, intuito, immaginato. Perché spesso gli insegnanti ignorano le diserzioni scolastiche e si “dimenticano” delle allieve che vengono tolte dalla scuola. E quando è troppo tardi si rammaricano di non essere intervenuti in tempo. Dite e ricordate i loro nomi perché sono cittadine italiane che hanno diritto a scegliere il proprio destino. Si scava per trovare il corpo di Saman Abbas, ma non abbastanza per infrangere i tabù dei matrimoni forzati.
Breve rassegna di NRW
Storie da ascoltare. Cecilia Parini racconta ai lettori di NRW quali sono gli episodi, gli audio e le voci da ascoltare in questo momento, per tenere le orecchie aperte sul mondo: Il podcast del mese: “Storie di questo mondo”. Storie importanti da conoscere. Da questa settimana abbiamo una nuova sezione, dedicata agli articoli di Africa Rivista. Questa settimana abbiamo scelto di affrontare i tema della tratta dei baby calciatori. Dietro alle star dell’universo calcistico, giovani emigrati che diventano idoli, c’è spesso un retroscena di business senza scrupoli e trafficanti di persone: L’altra faccia del calcio: la tratta dei calciatori africani. Storie da non dimenticare. Ebla Ahmed, fondatrice dell’associazione Senza Veli sulla Lingua ha spiegato a Margherita De Gasperis perché non abbiamo saputo proteggere la vita di Saman Abbas e perché un’associazione multiculturale può aiutare meglio le donne che cercano protezione. Caso Abbas: l’analisi dell’avvocatessa Ebla Ahmed che combatte i matrimoni forzati. Serie tv da vedere (forse). Tra cotte estive, colpi di scena e drammi adolescenziali, da questa seconda stagione della serie con Coco Rebecca Edogamhe e Ludovico Tersigni ci aspettavamo di più. La recensione di Iara Heidempergher: L’estate di Summertime? Promossa, ma con riserva. Libri da leggere. Fabio Poletti vi suggerisce di leggere l’estratto di La tua casa pagherà di Steph Cha (21 lettere). Un dialogo tra afroamericani e asiatici in un’America ancora troppo simile al passato.
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