Possiamo salvare il mondo, prima di cena è il titolo di un libro del geniale scrittore Jonathan Safran Foer dedicato alla crisi climatica, ma suona come un monito per tutte le crisi che non possiamo ignorare. Perciò questa settimana ho scelto di parlarvi del Premio Sacharov assegnato dal Parlamento Europeo a Mahsa Amini e al movimento iraniano Donna, vita e libertà.
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«Sei il mio cuore, la mia vita, il mio sangue. Sei l’aroma della primavera. Sei il profumo della terra dopo la pioggia… Cerco gli occhi della figlia della luce», sono state le parole della madre di Jina Mahsa Amini, Mozhgan Eftekhari, lette dall’avvocato della famiglia, Saleh Nikbakht, al Parlamento Europeo, il 12 dicembre, durante il conferimento del prestigioso Premio Sacharov. «Vorrei essere tra voi per rappresentare tutte le donne del mio Paese, ma sfortunatamente questa possibilità ci è stata negata in spregio a ogni regola e a ogni diritto», ha scritto la madre. «Jina ha diffuso il senso della libertà nel nostro Paese e nel mondo intero. La sua vita è stata stroncata ingiustamente, ma dal suo sacrificio si alzerà un invincibile spirito di libertà».
Il dolore per Jina sarà eterno per me ed è imperituro per le persone di tutto il mondo. Credo fermamente che il suo nome, accanto a quello di Giovanna d'Arco, rimarrà un simbolo di libertà. Dal luogo di nascita dell'eterna Jina, vi trasmetto l'infinita gratitudine mia e della mia famiglia e mi auguro che la vostra scelta sia ferma e orgogliosa. Speriamo che nessuna voce abbia paura di pronunciare la libertà
Il Premio Sacharov, assegnato per la prima volta nel 1988 a Nelson Mandela e ad Anatolij Marčenko, è il massimo riconoscimento dell’Unione europea per individui o gruppi che hanno contribuito in modo straordinario ed eroico a difendere la libertà di pensiero. Quest’anno è stato consegnato anche a Afsoon Najafi, la cui sorella Hadis è stata uccisa durante una manifestazione e a Mersedeh Shahinkar, ferita all’occhio destro durante una manifestazione contro il regime iraniano nell’ottobre 2022.
C’è stato un altro discorso che mi ha commosso: quello della figlia di Narges Mohammadi, premio Nobel per la Pace che, dopo tante esitazioni, ha raccolto il testimone della madre insieme al fratello Ali.
Kiana Rahmani ha letto il discorso di Narges Mohammadi, imprigionata nel carcere di Evin, in cui ha detto: «Ero una ragazza di 19 anni quando sono stata arrestata a causa di un cappotto arancione. Nel centro di detenzione, senza fiato per l’incredulità, l’orrore e lo choc, ho visto uomini dallo sguardo cupo in uniformi nere con fruste in mano che percuotevano incessantemente i corpi di quattro donne detenute senza un adeguato processo legale, come decine di altre».
L’alleanza intergenerazionale di donne che combattono per la libertà di tutti servirà a salvare il mondo, prima di cena? Forse sì, lo abbiamo visto anche in Italia dove, sebbene ci sia un stato di diritto (maltrattato), tante giovani hanno cominciato ad alzare la voce dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin. Così come assistiamo all’alleanza indiretta di tante insegnanti che stanno ascoltando con attenzione le giovani con background migratorio che chiedono aiuto per emanciparsi da tradizioni patriarcali. E ancora: tanti altri insegnanti stanno protestando perché da gennaio 2024 non sarà più possibile insegnare l’italiano ai migranti nei centri di accoglienza, negando loro ogni opportunità di farsi capire e capire, alzare la testa, prendere in mano le redini del proprio destino. Si può e si deve fare: salviamo il mondo, prima di cena.
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Leggiamo, facciamo cose e vediamo gente
📚 I libri di NRW: L’invenzione del Sahel
Fino al XIX secolo Sahel era una parola pressoché sconosciuta. Saranno i colonialisti francesi, in un processo di semplificazione arbitrario, a stabilire un’omogeneitá sociale, culturale e politica, in quella fascia di territorio africana che si incunea tra il Sahara a Nord e la Savana a Sud. Quanto ci sia di arbitrario nell’indicare i confini in Africa, basta guardare una cartina del Nord del continente, con quelle frontiere che sembrano tirate con il righello da uno studente svogliato. Eppure, come ci racconta Jean-Loup Amselle, in questo L’invenzione del Sahel pubblicato da Meltemi editore, l’eco nefasta di quella suddivisione artificialmente perpetrata dai molteplici interessi economici dell’uomo bianco, si sente ancora oggi. Secondo Jean-Loup Amselle, tra i massimi antropologi contemporanei, a questa categoria geografica è stata associata una questione socio-culturale e politica del tutto arbitraria: il Sahel non esiste e nasce esclusivamente all’interno del contesto coloniale francese. Un tempo il territorio era attraversato dagli imperi Ghana, Mali e Songhai, che mettevano in comunicazione l’Africa subsahariana con le coste del Mediterraneo. Sulle rotte commerciali di Timbuctù, Djenné e Kong viaggiavano le carovane che trasportavano l’oro in Europa e gli schiavi in direzione del mondo arabo-musulmano. A questo asse Nord-Sud, con la colonizzazione francese del continente africano, se ne sovrappose un altro da Oriente a Occidente. Secondo Jean-Loup Amselle, è proprio a questa cesura storica, politica e culturale che vanno imputati i problemi che interessano oggi il Sahel e tutto il continente africano. Jean-Loup Amselle, antropologo e Directeur d’études all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, ha svolto gran parte delle sue ricerche in Nuova Guinea, Mali e Costa d’Avorio, affrontando i temi dell’identità, del multiculturalismo e del post-colonialismo. La recensione e l’estratto tratto da L’invenzione del Sahel di Fabio Poletti per NRW.
💪🏽 L’attivista Remon Karam: «Non volevo restare il numero 90. Tutti devono avere il diritto a studiare»
Remon Karam è riuscito a laurearsi, dopo essere sbarcato nel 2013. Lo ha fatto perché sulla sua strada ha trovato una coppia che lo ha accolto, quando aveva 14 anni, e aiutato a crescere. Ora condivide la sua storia nelle scuole, nelle università, ovunque riesca affinché tutti i cittadini stranieri abbiano il diritto all’istruzione e all’inclusione.
Video di Sara Del Dot
🤞 Il Manifesto dell’impresa sociale per le nuove generazioni
Come fa un’impresa sociale ad attrarre giovani talenti? E i giovani cosa cercano nel mondo del lavoro oggi? Il “Manifesto dell’impresa sociale per le nuove generazioni” nasce con l’obiettivo di rispondere a queste domande, stimolando le imprese sociali a valorizzare il ruolo e le competenze dei giovani.
💣 La guerra delle colline
Se volete capire cosa accade sul terzo fronte, in Cisgiordania, date un occhio allo straordinario reportage del documentarista francese Stéphane Amar.
🎧 Podcast: La mia parte
La mia Parte è un podcast di Chora Media in collaborazione con ActionAid, scritto da Antonella Serrecchia con Leila Belhadj Mohamed e dedicato ai diritti. Questo episodio è ambientato in Tanzania per capire come le nuove generazioni stanno affrontando la sfida contro il cambiamento climatico.
Sono tempi difficili, non perdiamoci di vista 🕊️
A giovedì prossimo
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