Nella giornata contro la violenza, Michela Fantozzi sul suicidio di Adelina Sejdini
La newsletter di Cristina Giudici
Questa settimana l'editoriale lo scrive Michela Fantozzi perché nella giornata internazionale contro la violenza sulle donne non basta elencare i numeri sui femminicidi. Bisogna parlare anche delle donne che sono state vittime della tratta e poi lasciate sole. Bisogna parlare di Adelina Sejdini che si è suicidata a Roma all’età di 47 anni. Michela si occupa spesso della tratta delle donne straniere su NRW. E ha conosciuto Adelina Sedjni indirettamente. In questo editoriale ci racconta la sua storia, cosa ci insegnano una vita segnata dalla prostituzione coatta, dalla lotta per abolirla e il suo gesto che è stato un grido nel deserto.
Centotredici come nome di battaglia, 85 miglia nautiche percorse, 30 anni di lotta, 48 mesi di schiavitù. Quanto vale la vita di una donna? È il 12 ottobre 2020 e Giulia mi scrive preoccupata cercando aiuto: «la mia amica Adelina, ex vittima di tratta, vuole darsi fuoco perché non le hanno rinnovato il permesso di soggiorno. Senza, non può ricevere le cure per il cancro. Tu la puoi aiutare?». Scatto subito, contatto il centro antiviolenza della mia città, Padova, ma Adelina è di Pavia, al momento forse è a Roma e la cosa giusta sarebbe attivare la rete di aiuto più vicina a lei. Appunto le istruzioni che le esperte di Padova mi hanno suggerito, chiedo ad Adelina l’amicizia su Facebook e le invio tutte le informazioni che sono riuscita a racimolare.Il tempo passa e non ricevo nessuna risposta. Chiara mi fa sapere che Adelina è tornata a Pavia e io me ne dimentico.
Il 6 novembre 2021 Adelina Sejdini si suicida a Roma all’età di 47 anni. «Vabè, ma se lei non se vuole fa aiutà non la puoi costringè. Come principio è sacrosanto, però è pure un alibi per quando non te va più de stà appresso a qualcuno e qual è il confine tra le due cose lo sa soltanto la coscienza tua» direbbe Zerocalcare. Credo sia un po’ come ci sentiamo io e Giulia in questo momento, parlando di ciò che è successo, di quello che Adelina ha fatto e di quello che forse non abbiamo fatto noi. «Io ho cercato di fermarla» mi dice Giulia. «Le ho detto che da morta tutto quello per cui aveva lottato sarebbe stato vano». Riflettendo, sembra che la vita di Alma (questo era il suo nome di battesimo) possa essere raccontata attraverso dei numeri.
Diciassette erano gli anni che aveva quando è stata rapita a Durazzo, imprigionata, stuprata e costretta a prostituirsi. Ottantacinque miglia nautiche sono la distanza che i trafficanti le hanno fatto percorrere su un gommone dall’Albania all’Italia. Quarantotto sono stati i mesi della sua schiavitù sulle strade italiane. Centotredici è il numero d’emergenza che un carabiniere le aveva passato una sera e che lei aveva avuto il coraggio di chiamare. Questo numero per Alma era talmente importante che lo aggiunse al suo nome di battaglia nella lotta contro il racket: Adelina 113. Trentotto sono i trafficanti di esseri umani arrestati grazie all’aiuto di Adelina nell’operazione Acheronte della polizia di Varese.
Adelina aveva tutti i numeri dalla sua parte. Com’è potuto succedere che un’eroina come lei non avesse ottenuto i riconoscimenti che meritava? Com’è possibile che le istituzioni le abbiano negato la cittadinanza nonostante fosse idonea e nonostante i suoi meriti? Adelina definiva i carabinieri i suoi angeli, ma il giorno prima del suo suicidio a Roma è stata maltrattata proprio dagli uomini dell’arma della capitale che, oltre a picchiarla le hanno dato un foglio di via per Pavia. Come se la sua protesta davanti al Viminale per la cittadinanza fosse stata pericolosa.
Lo status di eterna straniera senza diritti è stato il motivo alla base del suo suicidio. Ma la lotta alla prostituzione è stata la sua ragione di vita. Adelina aveva denunciato i suoi trafficanti, aveva lavorato come interprete per i carabinieri per aiutare le vittime della tratta, aveva pubblicato due libri contro il racket della prostituzione e contro l’istituzione della prostituzione. Era un personaggio controverso e divisivo anche all’interno degli ambienti femministi liberali, che fanno proprio il motto sex work is work ('il lavoro sessuale è lavoro').
Nella storia di Adelina si intrecciano diverse questioni che interessano la nostra società, questioni che se nominate incendiano gli animi e rendono Adelina un simbolo più che una vita fra tante. Cosa vuol dire essere una donna immigrata in Italia? Che cos’è la violenza sulle donne? A queste domande Adelina, solo con la sua esistenza aveva dato una risposta.
Sembra facile individuare e definire ciò che è violenza. Un compagno che alza le mani, per esempio, è sicuramente un caso di violenza. Un uomo che apre il portafoglio per una prestazione sessuale? Adelina credeva che lo fosse altrettanto. Quello che ha lasciato in eredità non è solo la battaglia contro la violenza degli uomini, ma anche una missione per tutte le donne di ricerca di un luogo d’appartenenza, un luogo dove piantare la bandiera, scoprirsi libere e capaci di esplorare i propri vissuti e la propria storia senza le ingerenze narcisistiche maschili.
Adelina era una donna con i numeri giusti, come tantissime altre che ricorderemo in occasione della Giornata internazionale contro la violenza (maschile) sulle donne. Con quali numeri si può misurare la vita di una donna?
Secondo i dati delle Nazioni Unite, sono 15 milioni le bambine e ragazze che hanno subito il primo stupro prima dei 19 anni. Duecento milioni di donne hanno subito una qualche forma di mutilazione genitale. Seicentocinquanta milioni sono le donne e ragazze sul pianeta che sono state vittime di un matrimonio forzato prima di diventare maggiorenni. Al mondo, una donna su tre ha subito violenza fisica o sessuale da parte del partner. E Il 72% del totale delle vittime nel traffico degli esseri umani è di sesso femminile. Quattro su cinque di queste donne sono sfruttate a scopo sessuale. Centotré sono le donne uccise per mano del partner nel 2021 in Italia.
Tutte le donne del mondo hanno i numeri della ragione dalla loro parte, ma sembra che nella lotteria del rispetto che segue la legge degli uomini questi numeri non vengano mai sorteggiati.
Breve rassegna di NRW
Workshop da leggere (poi vi manderemo i video). Nel secondo evento di NRW a Parma, stavolta sul tema Sanità, si è usata la metafora della pratica giapponese ma il problema è reale: il riconoscimento dei medici di origini straniere in Italia. Il racconto di Cecilia Parini: Kintsugi: l’arte di ricomporre le fratture della Sanità al workshop di NRW. Lo smemorato di Milano. Il sindaco Beppe Sala sembra non conoscere tutta la sua città: Ambrogino d’oro: Milano dimentica i milanesi di origini straniere. Il commento del nostro polemista Sindbad il Marinaio. La versione di Adam. La traduzione e il video dell'intervista di Elisa Mariani al pittore Veggetti Kanku, relatore al primo workshop di NRW: Diversity leadership in art: the sense of belonging in Veggetti Kanku’s canvases. L'editoriale. Sulle migrazioni, muri e bla bla bla. Lo sport che ci piace. Gli anni a Cantù, l’ambizione che lo ha portato a Milano e l’approdo a Bologna, dove prima del recente incidente ha vinto lo scudetto. Ma anche il rapporto con la famiglia e il fratello. Il campione di basket si racconta a Domenico Cannizzaro: Awudu Abass: quando la determinazione va a canestro (con la Virtus Bologna). I libri che vi suggeriamo. Il long read di questa settimana scelto da Fabio Poletti è tratto da Cosa fare se una ragazza bianca si innamora di te di Tay Vines (Mondadori). Africa Rivista. Le ostilità scoppiate nel novembre 2020 affondano le radici in uno scontro di natura politica sull’assetto istituzionale da dare all’Etiopia, ma quali sono gli attori in campo? Le ragioni del conflitto in Etiopia e il tempo limitato per il cessate il fuoco.