Migranti alla deriva, politici allo sbando. Perciò vi racconto di Sid e di Harjeet
La newsletter di Cristina Giudici
Il braccio di ferro fra il nuovo ministro, Matteo Piantedosi, e le ong sulle pelle dei migranti è uno spettacolo già visto. Dura dai tempi in cui alla guida del Viminale c’era un tale che si chiamava Marco Minniti. E la tregua l’abbiamo avuta non tanto perché prima, col governo Draghi, ci fosse nella maggioranza il Partito democratico, ma semmai per il Covid. Anche se bisogna ritornare al 2018 con l’altro Matteo (Salvini) per assistere all’indegna strumentalizzazione del tema migranti, che oggi penalizza l’Italia in Europa in un momento delicato per i nuovi assetti istituzionali ai tempi della crisi energetica e non solo. Anche perché alla fine è difficile fare uno “sbarco selettivo” dato che - come hanno dimostrato i medici, psicologi e psichiatri - chiunque sia stato a lungo in mare e sia passato dalle cayenne della Libia è un soggetto vulnerabile, bisognoso di cure e di assistenza psicologica. E chissà che questo autogol insegni qualcosa al Governo che ogni volta, come nel 2018, non può che fare marcia indietro davanti gli sbarchi. E chissà che questo autogol insegni al presidente del Consiglio che non può fare blocchi navali, ma invece deve governare il Paese. Affermati questi banali principi sullo stato di diritto, questa settimana voglio parlarvi d’altro. Voglio raccontarvi due storie che sono finite a teatro.
Voglio parlarvi della storia di Sid, italoalgerino che è nato in una periferia urbana europea, e di Harjeet Singh, arrivato dal Punjab che si è ribellato al caporalato. Entrambe le storie sono la trasposizione letteraria di due piaghe della nostra società.
Sono nato ai bordi di una periferia. La periferia di una città.
La periferia di un mondo. La periferia di una razza. La periferia di un magazzino pieno di scarti che verranno buttati in mare. Inutili.
Oggetto, nessuno ti ha comprato.
Hai fallito, oggetto. I tuoi fratelli e le tue sorelle ti aspettano. I tuoi padri si aspettavano altro da te. Periferie annoiate, siamo in mezzo a una pagina bianca, non sappiamo cosa scrivere, imbrattiamo i muri coi cristalli.
Litri e litri di cristalli. A fumare. Non volevamo essere guardati
Volevano essere ispirati. Volevo essere amato. Ammazzo.
Inizia così il monologo di Sid - Fin qui tutto bene interpretato da Alberto Boubakar Malanchino (regia e drammaturgia di Girolamo Lucania, sound design e colonna sonora live di Ivan Bert e Max Magaldi) per raccontare le periferie e forzare il muro dei soliti stereotipi con una prosa graffiante e una performance prodotta da Cubo Teatro e E20inscena. Sid è un colto serial killer delle periferie che soffoca le persone con sacchetti di diversi brand di lusso e ascolta Mozart. La sua è una storia di esclusione, di una periferia urbana dove essere stranieri e poveri spesso coincide, ma è anche un’invettiva contro una società forgiata dalle diseguaglianze. E infatti nel flusso di coscienza – ispirato al romanzo Alì il magnifico di Paul Smaïl che narra l’esistenza disperata di un giovane beur delle banlieue francesi - dice
Perché chi l’ha detto che non vogliamo essere ispirati? Non ce lo meritiamo noi un qualche grandioso progetto umano che ci dia un senso?
Perché se non trovate qualcosa di grandioso di cui gente come me possa far parte, noi faremo a pezzi quello che grandioso non è. Un quartiere dopo l’altro, un edificio dopo l’altro. Famiglia per famiglia. Una sanguinosa guerra civile di cui sarete i primi a stupirvi
Harjeet Singh invece viene dal Punjab, uno stato dell’India. Viveva in campagna con la sua famiglia e a 24 anni ha deciso di vedere il mondo. Voleva che la sua famiglia avesse più soldi, voleva comprare a suo padre un grande trattore blu. Aveva una paura terribile, ma è partito.
Il primo giorno di lavoro me lo ricorderò per sempre. Devo raccogliere ravanelli, le radici rosse e un po’ piccanti, cammino in ginocchio per tutta la lunghezza della serra, con la schiena piegata. Ci sono solo due regole: la prima è che bisogna lavorare veloce, la seconda è che più raccogli, più guadagni. Raccolgo i ravanelli, li divido in mazzette da 15, ogni 150 mazzette, 3 euro, dalle 7 di mattina alle 7 di sera. Finito il lavoro chiamo Kamal, non mi avevi detto del cottimo, le12 ore di lavoro, ma Kamal dice non ti preoccupare, non ti lamentare il primo giorno e ringrazia Dio di avere un buon lavoro
Un ragazzo indiano di nome Harjeet viene in Italia per lavorare. Diventa velocemente vittima del caporalato che gestisce il lavoro agricolo nell’Agro Pontino. Harjeet è l’ultimo anello di una catena di sfruttamento che parte dalla grande distribuzione dei supermercati e finisce nelle serre dove si coltiva la verdura. Il Monsone - Una storia di caporalato è uno spettacolo pensato come un concept album. Musica, voce e immagini compongono i pezzi di un processo al contrario: l’uomo sfruttato si ribella e per questo deve essere punito. Anche questo è uno spettacolo teatrale di e con Beppe Casales, ispirato al libro Sotto padrone di Marco Omizzolo. Un monologo che è andato in scena di nuovo a Crotone durante un incontro organizzato dalla cooperativa Agorà Kroton, sul tema del caporalato.
E poi ci insegnano a leggere quello che c’è scritto nella busta paga, ci dicono a cosa corrispondono tutti quei numeri, quelle caselle, io mi ero sempre fidato di Kamal, ma scopro che Kamal è un caporale, che mi ha detto un sacco di bugie, perché nella mia busta paga c’è scritto che lavoro 9 giorni al mese e invece ne lavoro 27, nella busta paga c’è scritto che lavoro 6 ore e mezza e ne lavoro il doppio, nella busta paga non c’è scritto che la Repubblica italiana è fondata sul lavoro, forse dovrebbero scriverlo, la Repubblica italiana è fondata sul lavoro, ma sul lavoro di chi?
Perché vi racconto queste due storie? Perché le eccellenze di cui vi abbiamo parlato attraverso articoli e workshop servono a ispirare chi cerca di mettere la testa fuori dall’acqua. Perché tutti aspettiamo il monsone, il vento che porterà la pioggia del cambiamento.
La mia reading list
⭐️I libri di NRW: Due vite, due donne
Quarant’anni di storia personale e della Nigeria raccontati in una settimana. Costrette con la violenza (dagli uomini) due donne africane, così diverse, ma alla fine così uguali, intrecciano la propria storia con quella del Paese africano scivolato in un clima di paura incontrollata. È una storia tutta al femminile quella raccontata nel suo romanzo d’esordio da Cheluchi Onyemelukwe-Onuobia, avvocata e docente universitaria, specializzata in temi inerenti la salute e la violenza di genere, soprattutto su donne e bambini. In questo Due vite, due donne, appena pubblicato dalle Edizioni e/o, si esprime tutta la sensibilità di una delle nuove protagoniste della letteratura africana, vincitrice per questo libro del Nigeria Prize For Literature. Al centro del romanzo due donne che si raccontano, partendo da quarant’anni prima, dagli Anni Settanta, quando giovanissime inseguivano i propri sogni ed aspiravano a una vita diversa, affrancate da una società maschilista e violenta di cui saranno vittime da adulte, in un momento che le troverà riunite in una stanza, sequestrate in attesa che i loro familiari paghino il riscatto. Sospese dalle loro azioni quotidiane in un tempo che si fa limbo, le due donne inizieranno a raccontare le loro vite a partire dalla città di Enugu dove la giovane Nwabulu sogna di diventare una dattilografa, mentre sopporta le infinite faccende che le sono affidate dai suoi datori di lavoro. Fa la domestica dall’età di dieci anni, anche se alta, bella e innamorata del figlio di un uomo ricco. Istruita e privilegiata, Julie è invece una donna moderna. Vive da sola ed è felice di collezionare i gioielli d’oro che Eugene, innamorato, le porta, ma non ha intenzione di diventare la sua seconda moglie. È solo il punto di partenza per queste due donne, che si raccontano senza nascondersi, in attesa di un epilogo per niente scontato. Il long read di questa settimana scelto da Fabio Poletti da Due vite, due donne di Cheluchi Onyemelukwe-Onuobia.
⭐️ Autumn Beat
Autumn Beat è un film drammatico scritto e diretto dallo scrittore Antonio Dikele Distefano, che ha già ispirato la serie Netflix Zero. La trama si svolge a Milano, nell'arco di tre decenni. Al centro della vicenda ci sono Tito e Paco: sono fratelli e e sognano di sfondare nel mondo del rap. Esce oggi su Amazon Prime.
⭐️ Gariwo NetWeek
Dal 21 al 25 novembre al Milano Luiss Hub (Via Massimo D'Azeglio, 3, Milano) torna l’appuntamento annuale con GariwoNetwork, sia in presenza che in streaming sul canale YouTube. L’edizione 2022 di GariwoNetwork, la rete di tutti coloro che si occupano di Giusti, sarà una rassegna settimanale di incontri con ospiti d’eccezione, attività per gli insegnanti, un estratto dello spettacolo teatrale Il Memorioso. Breve guida alla memoria del Bene e workshop insieme al team di Gariwo. I lavori inizieranno lunedì 21 novembre pomeriggio con un momento di presentazione e la conferenza plenaria che aprirà la Gariwo NetWeek, dal titolo L’etica ai tempi dell’odio. Qui potete trovare il programma.
Al prossimo giovedì !