La danza delle 12 vergini giurate che vivono come uomini per difendersi dal patriarcato
La newsletter di Cristina Giudici
Ne sono rimaste dodici, nei Balcani. Non sono le vergini immaginate dai cervelli indottrinati dei jihadisti, convinti di poterle incontrare in Paradiso dopo il martirio, ma donne ormai anziane che hanno sacrificato la propria identità per essere libere. Diventando simili agli uomini, comportandosi e vestendosi come uomini, vivendo fra gli uomini, grazie a un voto di castità che le ha trasformate in burrneshe: vergini giurate. Un paradosso che ci riporta sempre allo stesso tema. Ossia al privilegio (per poche) di essere donne libere.
Le burrneshe vivono nell’Albania settentrionale, in Kosovo o in Montenegro. Nelle comunità albanesi più arcaiche, il Kanun, il più importante codice consuetudinario, riconosce alle burrneshe di acquisire gli stessi diritti e doveri giuridici che tradizionalmente nelle società patriarcali sono attribuiti alle figure maschili. Per diventare burrnesh, la donna partecipa a una cerimonia in cui fa un giuramento di conversione davanti agli uomini più influenti del villaggio. Un rito che prevede di indossare abiti maschili e il taglio dei capelli. Adottando l'aspetto e i comportamenti degli uomini per evitare matrimoni indesiderati, ereditare i soldi della famiglia o sperimentare la libertà sociale. Come Duni Grishaj che spiega alla giornalista della BBC Tui McLean
La mia famiglia ha vissuto da oltre un secolo in questa valle, dove gli uomini hanno sempre governato. L’unico modo di sopravvivere era diventare un uomo. Qui nel villaggio, durante l'epoca comunista, le persone erano aggrappate alle loro tradizioni e le donne isolate, senza libertà. Quando mio padre morì, ho deciso di diventare una vergine giurata. Quando ho preso questa decisione, ho avuto più diritti. Ho guadagnato più rispetto. Le vergini giurate erano libere. Potevano fumare, potevano bere. Sono cresciuta in un villaggio dove i diritti delle donne sono stati spesso violati. Oggi noi donne non dobbiamo scegliere di diventare uomini. Dobbiamo lottare per la parità dei diritti. Io sarò l'ultima persona. Non ci saranno più vergini giurate. Vedo me stessa come un uomo e non rimpiango la mia decisione ma la fine delle vergini giurate sarà l'inizio di una nuova era
Nel documentario realizzato recentemente dalla BBC, si vedono le vergini giurate raccontare le ragioni che le hanno portate alla scelta di rinunciare alla propria identità per proteggere la loro libertà. Talvolta anche per poter giocare a calcio. Questa tradizione si estinguerà con la loro morte perché si stima che ne siano rimaste dodici in tutti i Balcani. Le loro testimonianze paiono venire da un mondo antico, oscuro e oscurantista. E ci riportano al tema cruciale dei diritti delle donne, che sono dati come scontati in occidente (ma sempre in bilico) e non lo sono affatto in tante società patriarcali e violente, come in Afghanistan, in Arabia Saudita e in Iran, dove è in corso una rivoluzione guidata dalle donne e sostenuta dagli uomini.
Il video di una danza di giovani iraniane che hanno ballato nel quartiere periferico di Ekbatan, a Teheran, sulle note di Calm down di Selena Gomez e Rama per l’8 marzo, è diventato virale e imitato da tante altre donne.
Ma in questi giorni gira un’ altra immagine, simbolica ed eversiva per la sua sfida piena di ironia: uomini che indossano lo hijab per sfidare il codice di abbigliamento imposto alle donne nelle farmacie iraniane, dove ora sono state obbligate a coprirsi anche il volto con il niqab. Sebbene le manifestazioni in piazza si siano fermate, la rivolta continua con azioni più mirate per sottrarsi alla brutale repressione e alle condanne a morte.
La loro battaglia è fatta in nome di Masha Amini per l’emancipazione di tutte le donne (e degli uomini) anche in Afghanistan dove difendere i propri diritti significa firmare una condanna a morte. E in nome della libertà di tutti, di tutte, in tutto il mondo. Affinché non si debba più diventare burrneshe, vergini giurate, e adottare i codici maschili per difendersi dal patriarcato. La danza per la libertà in Medio Oriente è appena cominciata.
Leggiamo, facciamo cose e vediamo gente
⭐️ I libri di NRW: Chapeo
Chapeo è parola introducibile, ma che ai Caraibi capiscono tutti. Letteralmente sarebbe strappare le erbacce, liberare i campi dalla canna da zucchero. Più prosaicamente ha a che fare con i raggiri, gli ammiccamenti, le esche sessuali. Materia che avvolge questo libro, e non solo quello, di Johan Mijail, performer, ricercatore sociale e scrittore, attivista queer nato a Santo Domingo nel 1990, egli stesso emblema della diversity. Chapeo è il titolo del suo libro, pubblicato da Arcoiris, romanzo dalla scrittura barocca e vertiginosa, magistralmente tradotto da Raúl Zecca Castel. In appena 116 pagine che ne valgono mille, il personaggio principale del libro e il suo amico girano per la capitale dominicana alla ricerca di avventure sessuali. Il protagonista è pure un grande affabulatore dalla lingua tagliente, che talvolta spaventa i suoi amanti, mentre infarcisce i discorsi di mille ricordi e citazioni, dal grande filosofo francese Michel Foucault all’ultima attrice televisiva. Ne esce un caleidoscopio che ha la forza dei fuochi d’artificio, dove dei Caraibi dominicani sembra di sentire pure l’afrore di quei corpi nudi e sudati, schiaffeggiati dal sole dei Tropici. In una intervista rilasciata poco tempo fa al quotidiano Il Manifesto Johan Mijail racconta il perimetro della sua opera: «Attorno al chapeo, c’è un mondo legato ai corpi, che è uno spazio di relazioni economiche ma anche una sfera culturale e dell’immaginario, al di là della classica prostituzione: penso ai bugarrones, uomini che non sono gay ma cercano sesso con uomini gay; i sanky panki, quelli a caccia di prede nelle spiagge e fanno i macho se trovano turisti uomini e romantici con le donne. È un mondo che si alimenta di mille rivoli, sempre legato a una trattativa, che negozia insieme i fili dell’economia, della sensualità e della sessualità». È il corpo, allora, il vero protagonista di questo libro. Un corpo nero e caraibico che fu schiavo e mai redento, oltre ogni distinzione di sesso, di genere o di classe. Il long read di Chapeo recensito e scelto da Fabio Poletti per NRW
⭐️ Migranti e naufragi, chiediamo il soccorso dell’Onu
Il Mediterraneo centrale è la rotta più letale del mondo: dal 2014 oltre 25mila vittime, più di 1400 solo quelle del 2022. E sono più di 30mila, sempre lo scorso anno, gli uomini, le donne e i bambini profughi riportati nell’inferno libico da cui avevano tentato di fuggire. Occorre dotare le navi che fanno soccorso in mare della bandiera dell’Onu, e le Nazioni Unite possono farlo. Occorre cancellare la cosiddetta zona Sar libica, e anche questo deve essere fatto, dall’Imo, l’International Maritime Organization. Se vuoi, firma questa petizione.
⭐️ Incontro (affollatissimo) con Nasim Eshqi
La nostra associazione, Nuove Radici, insieme a The Mill-le passioni generano idee ha organizzato il 9 marzo un incontro con la free climber iraniana Nasim Eshqi (qui potete trovate una versione estesa della sua travagliata ma edificante storia). Dopo aver visto il documentario di cui è la protagonista, Climbing Iran, ha parlato di montagna e di diritti umani davanti a una platea affollatissima, attenta, entusiasta. In modo leggero ed ironico, Nasim ha raccontato come è riuscita ad arrivare in vetta e ci ha mostrato fino a che punto si spinge la censura e l’ossessione del regime per il corpo delle donne che ha voluto castigare, invano.
⭐️ Ke Huy Quan vince l’Oscar, piange e dedica il premio al sogno americano
Ke Huy Quan nasce a Saigon nel 1971. A 7 anni lascia il Vietnam distrutto dalla guerra a bordo di un barcone con altri 3mila rifugiati. Per un anno vive in un campo profughi a Hong Kong col padre e cinque fratelli, ma senza la madre e tre fratelli (rifugiati in Malesia). A 8 anni si riunisce con tutta la famiglia a Los Angeles. Ha 12 anni quando accompagna il fratello a un’audizione: Steven Spielberg sta cercando un giovane attore asiatico e sta facendo dei provini a Chinatown, il quartiere in cui vive. Mentre sta incitando il fratello tra i corridoi, viene notato dal direttore del casting che gli chiede: «Vuoi fare anche tu il provino?». A 13 anni recita con Harrison Ford in Indiana Jones e il tempio maledetto e poi nel film cult I goonies. A 23, dopo aver saldato parte dei debiti della famiglia, il telefono non suona più. Le pochissime offerte che riceve sono solo per ruoli stereotipati da asiatici. Tra i 24 e i 46 anni lavora non più come attore ma come coreografo degli stunt e assistente alla direzione. A 47 guarda Crazy Rich Asians, successo da 240 milioni di dollari di incassi. Pensa che i tempi per gli attori asiatici stiano cambiando e chiama un vecchio amico agente: «Vorrei provare a tornare a recitare. Ti va di rappresentarmi?». A 48 riceve e accetta l’offerta per una parte nel film Everything, everywhere all at once. A 52 vince il Premio Oscar come Miglior attore non protagonista. La sera del 12 marzo dal palco ringrazia la madre e i suoi sacrifici.
Il suo video è straordinario e straziante. Della serie, the best is yet to come
E anche per tutti noi, speriamo. Ci rivediamo giovedì prossimo, daje.