Keep racism out. Nella settimana contro il razzismo interroghiamoci sulla diversity
L'Editoriale di Cristina Giudici
L'Unar, l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, ha indetto la XVII Settimana d'azione contro il razzismo, che si conclude il 27 marzo, con l'hashtag #KeepRacismOut. Benissimo, ma poi quando si entra nel merito di cosa sia davvero una società multiculturale ci si perde come in un labirinto. Nello spot Diversi ma tutti uguali, clip di tre minuti realizzata dall'associazione Nibi-Neri italiani, Black italians, sono riuniti tutti gli stereotipi all'interno di un ristorante perché il cibo alla fine unisce tutti, si sa. Ma il breve video offre uno spunto interessante: mostra i risultati di uno studio genetico condotto su tutti gli attori del cast. Grazie alla collaborazione dei ricercatori dell'ateneo romano di Tor Vergata che hanno prelevato e analizzato il dna mitocondriale degli attori, è stato possibile ricostruire le origini ancestrali di ognuno di loro. E scoprire che il maliano Soumalia Diawara nel suo patrimonio genetico ha legami con l'Europa centrale, Adel Ahmed Braders, di origini marocchine, proviene anche dall'Europa meridionale,Giuseppe Spezia discende dall'Africa orientale e l'etiope Fayo Abdi Houssein dall'Europa settentrionale. Guardatelo per trarre le vostre conclusioni.
Ci sono state altre iniziative che non si limitano a lanciare un messaggio e si inseriscono in tessuti urbani problematici per favorire la coesione sociale. Come AL.FA.PER L’Altra Faccia della PERiferia, oltre le fake news, contro il razzismo e le discriminazioni promosso dalla Fondazione Ismu grazie al contributo dell’Unar sempre nell’ambito della settimana contro il razzismo. Con workshop creativi anche nelle scuole, realizzati da giovani di seconde generazioni. Il progetto prevede azioni di sensibilizzazione e informazione a lungo termine con podcast, radio locali, webinar e così via. Bene, anzi benissimo. Quando però poi ci addentriamo nel tema multiculturale, le mille declinazioni ci (e mi) mettono in difficoltà. Nel nostro team redazionale ci sono diverse persone di origini diverse (la ripetizione è voluta) perché in Italia, non avendo un modello a cui ispirarsi, i termini sono sempre un problema per chi vuole comunicare il multiculturalismo in modo adeguato. E per ogni fatto di cronaca c’è un’interpretazione differente dei fatti. C’è chi propende per una contaminazione spinta per riuscire a superare quella barriera mentale che spesso ci fa immaginare ancora divisi fra “noi”, che abitiamo in questo Paese da infinite generazioni, e “loro” che sono nuovi cittadini arrivati al massimo alla terza generazione. E c’è invece chi vorrebbe privilegiare il rafforzamento, traduzione sommaria di empowerment, della comunità in cui ci si riconosce per favorire un margine più ampio di rappresentanza delle minoranze etniche.
Perché se parli di un occidentale usi solo nome e cognome, ma se ti riferisci a una persona con la pelle nera aggiungi sempre la definizione afrodiscendente? mi ha chiesto recentemente Matteo Matteini, amico e partner di NRW, con una provocazione. E non ho saputo cosa rispondere se non che non vorrei usare gli asterischi per fare diventare tutti cittadini di un magma indistinto nel nome del politicamente corretto
E ancora: Claudio Rossi, docente di mediazione culturale, mi ha suggerito una sua riflessione su quanto in Italia l’uso dei termini inclusione e integrazione possa essere ambiguo. Infatti vengono spesso usati come sinonimi mentre l’inclusione è propedeutica all’integrazione che permette agli stranieri di inserirsi e partecipare attivamente a un sistema.
E quindi, noi che consideriamo la parola integrazione anacronistica e per questo motivo abbiamo modificato il motto della nostra testata da Integrazione senza pregiudizi a Inclusione e diversity per contemplare sia l’inclusione dei migranti sia la valorizzazione delle nuove generazione italiane con background migratorio, abbiamo sbagliato tutto? La questione non è secondaria perché le parole sono importanti
Talvolta mi diverto a vedere gli sforzi semantici fatti dagli uffici stampa di progetti dedicati alla promozione della diversity multiculturale (questo termine è corretto?) quando sprecano molte righe perché non sanno definire esattamente i figli dell’immigrazione e usano panegirici tipo: «Le persone nate o cresciute in Italia da famiglie nate all’estero». O,al contrario, c’è chi invece mette tutti dentro l’etichetta “migranti” e se la cava così, anche se ci sono tre milioni di persone sotto i 35 anni nate o cresciute in Italia che non hanno deciso di emigrare da nessuna parte. Insomma, se nella società tutto avviene, per fortuna, gradualmente e sempre più spontaneamente senza bisogno di definirsi troppo, nel mondo delle idee e dell’informazione non si trova mai un termine che sia soddisfacente o adeguato. Una certezza però ce l’ho. Non userò una sfilza di asterischi per favorire il magma indistinto di una società multiculturale, ma farò di tutto per esaltarne il caos creativo. Perdonatemi questa lunga divagazione. Dalla prossima settimana torno a problemi più concreti e urgenze che ci assillano sul tema divisivo e controverso dell’inclusione e della diversity (aiuto!)
Breve rassegna stampa di NRW. Notizie intriganti. Meghan 1. Windsor 0. La Corona inglese costretta ad affrontare lo spinoso tema delle discriminazioni. Il commento del nostro polemista Sindbad il Marinaio. Meghan Markle atto 2: a Buckingham Palace arriva il responsabile della diversity. Notizie da non ignorare. Le violenze ai danni delle comunità asiatico-americane hanno alla base un incrocio di razzismo, sessualizzazione e stereotipi “pandemici” che riguardano anche noi, ha scritto Cristina Kiran Piotti: Che c’importa del movimento Stop Asian Hate? Molto più di quanto pensiate. Visioni da non perdere secondo Elisa Mariani. Si chiude il 28 marzo il Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina, che parla anche di cambiamenti urbani, tecnologia e imprenditoria nei tre continenti: Il ritorno del Fescaaal, festival del cinema multiculturale che racconta il cambiamento. Storie da leggere secondo Michela Fantozzi: Cherif Karamoko, maglia 2 del Padova messo in panchina dalla burocrazia ostile. Il crowdfunding da tenere d’occhio secondo Giulia Parini Bruno. Luisa Zhou: «Con Steady rilanciamo il giornalismo autofinanziato e indipendente». Libri da leggere secondo Fabio Poletti.Il long read di questa settimana è tratto da Chiaroscuro di Raven Leilani, un racconto sulla ricerca d’identità di una giovane donna afroamericana a Brooklyn.
Ps.1 Venerdì scorso abbiamo partecipato a Wireless Connections all’interno di Milano Digital Week insieme agli amici di Vitality social per lanciare una sfida delle idee (concrete) e promuovere la coesione sociale. E qui trovate il video della diretta.
Ps.2 Continuate a volerci bene e a sostenerci, entrando nella nostra comunità con uno piccolo sforzo. Noi ce la mettiamo tutta.