Il podcast sulle donne afghane salvate (e ci vediamo a Parma il 19 novembre)
La newsletter di Cristina Giudici
Zahra Ahmadi ĆØ alta, ha capelli e occhi scuri, e sembra forte come una quercia e chissĆ se lo ĆØ perchĆ© appartiene all'etnia hazara di fede sciita perseguitata da secoli in Afghanistan. Parla in persiano ma si intuisce che deve aver sofferto e combattuto troppo a lungo per divagare con le parole. Più avvezza a sottrarre che ad aggiungere. A Venezia, dove lāho incontrata, ha fatto un resoconto telegrafico della sua tragica traiettoria. Ā«Ho vissuto cose brutte, i talebani sono degli assassini e le donne rappresentano lāunica speranzaĀ», ha detto. Ā«Eravamo inserite nella societĆ , eravamo forti, autonome. Abbiamo perso tutto in una notte. Non ho più un luogo dove stare in Afghanistan. Forse ho sbagliato a lasciare il Paese, ma non avevo alternativa. Ero una commerciante, ho perso il diritto di continuare ad esserlo ed ero minacciata. Questa ĆØ la mia sorte e non solo la miaĀ». Ć stata salvata insieme ad altre 23 attiviste dall'europarlamentare del Pd Alessandra Moretti. Rahel Saya, giovane giornalista di soli 21 anni, ora rifugiata a Genova, invece ĆØ stata aiutata da quella che chiama āla mia sorella italianaā, Elisa Serafini, giornalista e attivista di Students for Liberty. Rahel era cosƬ impaurita che si ĆØ addirittura tagliata via le unghie colorate, per il timore di suscitare una reazione violenta da parte dei talebani. Anche se in passato aveva giĆ subito molte pressioni psicologiche e minacce alla sua incolumitĆ , non aveva mai pensato davvero di lasciare il suo Paese. Ā«Quando sono arrivata in Italia ero cosƬ felice che ho pianto di gioiaĀ», mi ha scritto via WhatsApp, Ā«ma in Afghanistan ho seppellito i miei sogniĀ». A Kabul collaborava con Voice of AmericaĀ eĀ Andisha Tv. Girava le province per raccontare la generazione di giovanissime che stavano emergendo, nate e cresciute con maggiori diritti e un solo desiderio, quello di essere libere: donne giudice, avvocati, medici.
Quando ĆØ arrivata in Italia e ha preso il premio giornalistico Biagio Agnes, si ĆØ presentata sul palco della Rai con un sorriso luminoso sul volto. Solare e irruente, voleva raccontare le tante, troppe cose che dovremmo capire di questa tragedia più grande di noi che ha travolto le nostre vacanze ferragostane con la potenza devastante di un tornado. Ma, infilata in un sincopato palinsesto televisivo, ĆØ riuscita solo a dire che non aveva mai confidato alla sua famiglia di aver ricevuto minacce, ha ringraziato la sorella italiana che lāha aiutata, Elisa Serafini, ha ringraziato per il premio e se ne ĆØ andata radiosa al braccio del traduttore, il profugo e scrittore Alidad Shiri.
Samia Hamasi invece l'ho incontrata per caso in un centro di accoglienza. Lei ĆØ stata centrocampo e poi allenatrice della squadra nazionale femminile di calcio. Piccola, minuta, negli occhi un guizzo di impazienza per la nuova vita che non ĆØ ancora cominciata, ha 24 anni e il cuore sempre oltre lāostacolo. In un pomeriggio di sole autunnale mi ha donato la sua storia nel giardino della casa dove si trova ora. Due giorni dopo lāarrivo dei talebani a Kabul, la federazione di calcio l'ha chiamata per dirle di bruciare tutto: magliette, medaglie, certificati. Poi grazie all'associazione Pangea ĆØ riuscita a scappare. Durante il nostro incontro Samia ha sempre sorriso e riso, ma sul volto alternava espressioni di angoscioso smarrimento a un tenace ottimismo. Mi ha mostrato le foto della sua squadra, delle sue compagne che ora sono in Australia e il video della sede della federazione di calcio, devastata da un attentato nel 2019.
A Kabul studiavo Scienze politiche allāuniversitĆ . Ero vicino alla laurea e per colpa dei talebani ho buttato via anche quattro anni di studio. Li odio. Spero che spariscano dalla faccia della terra.
Provo un senso di immensa gratitudine per Samia Hamasi perché ha una forza interiore talmente grande che riesco solo a sfiorarla. Ora è andata in cerca di un luogo che possa chiamare casa e io la chiamo spesso per sapere come sta. Insomma non la mollo perché è da sola. Le nostre conversazioni sono un po' surreali perché non parla bene inglese, ma ci capiamo. Vorrei fare di più, vorrei fare qualsiasi cosa perché possa entrare di nuovo in un campo da calcio ma per ora lei, che è stata aiutata dall'associazione Pangea a venire in Italia, è considerata solo una profuga. Finita nella tabella "migrante", dovrà avere molta fortuna per riuscire ad uscire dal limbo in cui si trova.
Quello che vi sto raccontando è la sintesi della trama del nuovo episodio del podcast Radici prodotto da Storielibere.fm che si intitola Afghanistan-donne che salvano donne, ispirato in parte allo storytelling di NRW e un po' alle variazioni sul tema dell'immigrazione su cui faccio continue ricerche perché non riesco a resistere alla tentazione di scavare nel cuore delle persone. Uno scrittore ha detto che finché abbiamo una storia da raccontare, restiamo vivi. E deve essere un po' così, perché ogni volta che parlo o scrivo delle donne salvate dalla furia misogina dei talebani e sopratutto di Samia Hamasi, che è rimasta in mezzo al guado, il mio cuore vibra.
Diversity leadership nella sanitĆ
Dopo il nostro primo workshop dedicato agli artisti di seconda generazione del progetto sulla diversity leadership in cinque cittĆ (qui trovate tutto il progetto, diviso per cittĆ , articoli, video e info su come iscrivervi), ora ci stiamo preparando per il secondo appuntamento del 19 novembre all'universitĆ di Parma. In Italia ci sono 22mila medici, 38mila infermieri, 5mila odontoiatri, 5mila fisioterapisti, 5mila farmacisti, 1000 psicologi e 1500 fra podologi, tecnici di radiologia, biologi, chimici e fisici. Questi sono i numeri dei professionisti sanitari di origini straniere. E fra gli oltre 350 medici morti durante la pandemia, almeno 18 sono stranieri. A Parma proveremo a raccogliere la sļ¬da per riuscire a coniugare diversitĆ e uguaglianza anche fra i medici con background migratorio.
Pochi lo sanno, ma nel nostro Paese ci sono quasi 90mila operatori sanitari di origini straniere. Sono uomini e donne che si sono formati nelle nostre UniversitĆ e che in molti casi non possono lavorare nel sistema sanitario nazionale e hanno difficoltĆ ad iscriversi nelle scuole di specializzazione perchĆ© non hanno la cittadinanza o, nel caso abbiano studiato allāestero, non riescono ad avere il riconoscimento dei propri titoli di studi.
Nella caotica fase della pandemia in cui si sono incrociate paura e dolore, rimozione e negazionismo, ĆØ finalmente emerso ciò che NRWĀ ha raccontato e documentato ancora prima che il Coronavirus sconvolgesse il mondo intero. Ā
Il 19 novembre parleremo di cura e cittadinanza con tanti giovani medici di origini straniere, le difficoltĆ di fare carriera nel sistema sanitario nazionale, le opportunitĆ che invece sono state colte. E la necessitĆ di ripartire dopo la pandemia, valorizzando e includendo tanti professionisti con background migratorio. Ad animare la discussione della tavola rotonda della mattina ci sarĆ Bertrand Tchana, primario della Cardiologia pediatrica di Parma con origini camerunensi. Un modello per tanti studenti stranieri che arrivano a studiare a Parma.
Nel pomeriggio si terrĆ un workshop per permettere ai relatori e alle relatrici di confrontarsi con gli studenti che parteciperanno e sarĆ condotto da Anass Hanafi, presidente di NILI, il network per lāinclusione dei leader in Italia e da Natalia Demagistre, psicologa italoargentina che lavora nei centri di accoglienza per offrire supporto a chi deve superare il trauma della migrazione.Ā Per iscrivervi, basta un clic su questo link https://bit.ly/3obii2k. Venite, partecipate, portate il vostro entusiasmo e non dimenticatevi il green pass.
Breve rassegna di NRW
Il backstage del primo workshop sull'arte. Elisa Mariani vi racconta cosa ĆØ successo nel confronto con artisti di seconda generazione che ha ruotato su due concetti: equilibrio e opportunitĆ : Diversity leadership nellāarte: il workshop per le opportunitĆ del multiculturalismo. Il bla, bla, bla sul cimate change 1/. Nel dibattito sul climate change al Cop 26 a Glasgow i migranti climatici non esistono. Su questo tace pure Greta Thunberg. Il commento graffiante di Sindbad il Marinaio: Cop 26, i Grandi della Terra dimenticano i migranti climatici. Il bla, bla, bla sul climate change 2/. Africa Rivista affronta i tanti nodi da sciogliere che sono stati portati al Cop 26: Africa, vittima di cambiamenti climatici e promesse non mantenute I libri di NRW:Ā Questa settimana Fabio Poletti ha recensito il libro La metĆ scomparsa di Brit Bennett, che affronta il tema spinoso sul colore della pelle, il passing (il trasformismo di chi, avendo la pelle più chiara e i lineamenti meno marcati, si fa passare per bianco per poterne ottenere privilegi, economici e sociali). Tornano le incursioni musicali di Mariarosa Porcelli con la storia della cantante italovenezuelana che sta portando una ventata di contaminazione nella musica italiana con il suo nuovo ep Peace of Mind: Arya Delgado, la musica di oggi che va oltre i generi (e sfida lāalgoritmo)
Ps. Se vi state chiedendo come riusciamo a fare tante cose senza stramazzare al suolo con un magazine autofinanziato e una piccola associazione, ĆØ giunta l'ora di darci una mano ed entrare nella nostra comunitĆ .