Il Corvetto e la sindrome banlieue nella narrazione delle nuove generazioni
La newsletter di Cristina Giudici
Per una settimana si è parlato del Corvetto come fosse un quartiere alieno, popolato da zombie, ragazzi di strada violenti, spacciatori e predatori di collanine e smartphone. Ed è vero che c’è pure questo, il disagio, la povertà educativa e materiale, i reati di strada. Ma il Corvetto non è un monolite e la zona “oscura” è limitata alle vie delle case popolari del quartiere Mazzini che ha un problema che accomuna tutti gli abitanti o quasi: l’impoverimento. Basta leggere i messaggi sui social media degli abitanti per capire quanto grande sia la loro fatica per arrivare a fine mese.
La storia assurda di quell’inseguimento di 8 km a una velocità folle che poteva fare molte più vittime, manco fossimo a Detroit, ha oscurato tutto quello che accade nel Corvetto, dove si mescolano progetti di riqualificazione, i dopo scuola, il lavoro quotidiano delle numerose associazioni della Rete Corvetto che operano proprio dove viveva Ramy Elgaml, 19enne morto all’alba di domenica 24 novembre, cadendo dalla moto al termine di un inseguimento dei carabinieri. A poche centinaia di metri di distanza dalla piazza dello spaccio di piazzale Gabrio Rosa, si trova la residenza universitaria “Marie Curie“ in piazza Ferrara: due piazze collegate dalla via Mompiani dove abitava Ramy e dove la sua famiglia si è dissociata dalla violenza scoppiata e finita nell’arco di pochi giorni, sebbene sotto la cenere resti tanta rabbia.
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Chi era Ramy Elgaml? Per alcuni un figlio della pace perché è stato cresciuto da due famiglie, quella biologica, egiziana e musulmana, e una autoctona cattolica. Per altri un giovane che viveva sul confine fra legalità e illegalità, espressione di una periferia più sociale che geografica, rimasta intrappolata dentro un quartiere vivace e dinamico che intreccia riqualificazione e gentrificazione che non sono sempre sinonimi.
Ramy Elgaml era "un ragazzo perfettamente integrato nel quartiere dove viveva e aveva due famiglie: la sua, musulmana, e un'altra, profondamente cattolica, italiana, ed entrambe stanno soffrendo lo stesso lutto per la sua morte", ha detto l'avvocata Barbara Indovina che assiste la famiglia alla giornalista Manuela D’Alessandro dell’agenzia Agi.
Lui si sentiva italiano, non parlava nemmeno l'arabo ed era legatissimo a una famiglia cattolica con cui trascorreva molto tempo e che gli offriva delle opportunità di crescita. Era molto affettuoso, a volte mi mandava degli audio per dirmi che mi voleva bene. Lavorava come elettricista in una grande azienda. Ha avuto una vita piena di opportunità, forse non le ha sfruttate appieno ma la sua era un'esistenza serena e da ragazzo perfettamente integrato, ha detto l’avvocata
Ho assistito alla fiaccolata organizzata sabato sera in atmosfera cupa e silenziosa di un gruppo di 500 persone fra residenti, attivisti dei centri sociali e qualche esponente del Pd che è stato fischiato per sottolineare la distanza fra chi vive nelle case popolari e la politica. Avvolti dalla nebbia e da una narrazione a senso unico, i manifestanti hanno sostato in silenzio davanti alla casa della famiglia di Ramy, acceso candele e fatto volare lanterne in cielo con un applauso per ricordarlo.
Poi, spenti riflettori delle videocamere e finite le dirette dei giornalisti presenti, resta un grande interrogativo sull’identità di una generazione senza opportunità per cui vorrebbe un grande investimento educativo, come cercano di fare i volontari della comunità di Sant’Egidio che tentano di costruire un patto intergenerazionale, coinvolgendo gli studenti nel movimento dei Giovani per la pace e negli incontri con gli anziani “per provare a cambiare le loro prospettive, creare ponti laddove sono cresciuti tanti muri”, sottolinea Stefano Pasta, coordinatore minori della Comunità di Sant’Egidio nello spazio di aggregazione Living Together che si trova proprio dove sono scoppiate le proteste. “Ci vorrebbe un grande investimento educativo e tutti dobbiamo porci qualche interrogativo sulle ragioni della loro frustrazione sociale, l’abissale distanza dalle istituzioni, pur senza giustificare gesti intollerabili come aver incendiato un autobus, lanciato bottiglie e petardi contro la polizia”. Alberto Sanna, fondatore e presidente di Dare Ngo, che al Corvetto lavora con gli studenti ci offre un’altra chiave di interpretazione. “Il Corvetto è prodotto di una miscela sociale che nelle case popolari mescola devianza a tanta aggregazione. Qui l’architettura di larghi viali e grandi piazze impedisce di creare dei fortini, ma abbiamo notato recentemente una pressione delle forze dell’ordine per interrompere il traffico dello spaccio. Non escluderei che le retate abbiano contribuito a creare quella rabbia che è scoppiata non solo per la morte ingiusta di un giovane”. E poi il Corvetto non è solo il Mazzini, case popolari fatiscenti. Intorno alle vie più insidiose ci sono locali, librerie, movida e tanta società civile che cerca di strappare i ragazzi a un destino segnato. Non per tutti, dato che la fidanzata di Ramy Elgaml si è dissociata dalla violenza. “Non stiamo lottando per una morte, non vogliamo crearne altre”, ha detto lei che si chiama Neda Khaled e ha chiesto di sapere la verità ma ha detto in un accorato appello che le fa male vedere urla, insulti, violenze. I distinguo che fanno la differenza fra un quartiere problematico e una vera e propria banlieue.
Il Corvetto, un quartiere del municipio 4 di Milano, 165.393 residenti di cui 35.276 residenti di origine straniera “è complesso e affaticato, come le tante persone che lo abitano”, ha detto Paolo Larghi, direttore della cooperativa sociale La Strada, a Vita magazine. Ora che i fuochi ardono sotto la cenere, bisogna interrogarsi sul destino delle seconde generazioni che restano bloccate nella definizione di maranza, termine boomer che viene applicato anche agli adolescenti che si ispirano alla cultura gangsta, perché non basta avere un lavoro per essere “integrati” se in alcune scuole si dividono i bianchi dagli allievi problematici di origini maghrebine e cresce il white flight: la fuga delle famiglie dalle scuole con troppi alunni stranieri. Bisogna spegnere il fuoco, non della rivolta che alla fine non c’è stata, ma della disgregazione sociale.
Leggiamo, facciamo cose e vediamo gente
📚 I libri di NRW: Maschiocrazia
Che in Italia sia al potere una donna cambia davvero poco. Non è certo la prima presidente del Consiglio di sesso femminile a mescolare le carte in tavola. Il nostro era e rimane un Paese molto maschilista, dove vige un sistema maschiocratico malgrado Giorgia Meloni. La battaglia sulla parità di genere, dai salari ai diritti più elementari, è tutt’ora in corso e non se ne vede certo la fine. Emanuela Griglié e Guido Romeo, in questo Maschiocrazia scritto per Codice Edizioni, provano a scandagliare l’universo e sociale ed economico, ma soprattutto quello politico, sotto la lente di ingrandimento del rapporto uomo donna, un rapporto di forza vien da dire, nei gangli della società moderna. Il risultato è ovviamente sconcertante, disarmante verrebbe da dire. E non ci fa ben sperare che un ministro, del governo Meloni appunto, come Giuseppe Valditara che riveste il suo importantissimo ruolo all’Istruzione, neghi l’esistenza del patriarcato nel nostro Paese, addebitando solo ai migranti le peggiori violenze fisiche sulle donne. Sembra la perfetta fotografia della società italiana e delle democrazie occidentali e non solo. Esempi di un nuovo modello più inclusivo ed equilibrato, in politica come in economia, esistono, ma le resistenze sono molte e non scontate, e il potere femminile è ancora ben lontano dall’essere consolidato e strutturato in una rete influente e capillare. Il problema è che siamo tutti, anche le donne e i ragazzi più o meno fluidi della GenZ, molto più maschilisti e conservatori di quanto siamo disposti ad ammettere. Attraverso dati, interviste a Roberta Metsola, Kaja Kallas, Vera Gheno e molte altre, oltre che ricerche scientifiche e cronaca recente, Maschiocrazia è la fotografia lucida e provocatoria di una mutazione epocale che la società contemporanea sta affrontando, e svela un quadro più complesso della semplice discriminazione di genere. La recensione e un estratto di Maschiocrazia nella rubrica di Fabio Poletti per NRW.
✌🏽 Scarcerato il rapper Toomaj Salehi, simbolo della rivolta Donna,Vita, Libertà
Arrestato nell'ottobre del 2022, aveva denunciato di essere stato costretto a lunghi periodi di isolamento e di aver subito torture che gli hanno provocato fratture alle mani e a una gamba. A giugno di quest'anno la Corte suprema dell'Iran aveva cancellato la condanna a morte nei suoi confronti dopo una forte mobilitazione internazionale. Qui trovate la storia della sua ribellione.
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