IL 2025 è iniziato con l'agonia di Naima Jamal in Libia (ve ne siete accorti?) e qualche bella notizia
La newsletter di Cristina Giudici
Abbiamo iniziato l’anno con la liberazione di Cecilia Sala, la reporter di Chora Media e il Foglio che ha raccontato la sua detenzione in modo straziante nell’ultima puntata del podcast Stories. E questa è stata una bellissima notizia. Ora dobbiamo pensare anche agli altri rimasti ad Evin, siano essi stranieri, con doppia cittadinanza o iraniani e iraniane dissidenti tenuti nelle celle di isolamento a subire la tortura bianca, senza aver commesso alcun crimine. E soprattutto ai condannati a morte, come l’attivista curda Pakhshan Azizi.
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Fra le tante laceranti emozioni che abbiamo provato in questi primi giorni del 2025, non si registra però alcuna indignazione per l’immagine di Naima Jamal, etiope, legata e torturata dai trafficanti libici, che l’hanno sequestrata e chiedono alla famiglia seimila dollari per il suo riscatto. Un’indifferenza che faccio fatica a capire e ad accettare. Soffrire, mobilitarsi, aspettare con l’ansia strozzata in gola la notizia della liberazione di una nota giovane reporter e l’angoscia per il buco nero di Evin non dovrebbero esimerci dal provare indignazione per tutte le donne (e uomini) migranti schiavizzati.
Perciò vi ricordo le parole del cappellano della nave della ong Mediterranea Saving Humans, don Mattia Ferrari, che ha raccontato la sua storia su La Stampa, ricordando le parole di Primo Levi “Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici: considerate se questa è una donna, senza capelli e senza nome”
I nostri cuori dovrebbero essere in grado di accogliere tutte le ingiustizie più barbare. O quanto meno di non lasciarle cadere nel vuoto. Messe in fila, le vittime e le violenze sono tante, troppe, e c’è un limite alla sopportazione del dolore altrui, lo so, ma non dimentichiamoci dei migranti schiavizzati con la complicità dell’Europa.
Ci sono anche buone notizie, ve lo avevo promesso. E forse questo sarà l’anno giusto, finalmente, per la riforma della cittadinanza. La Corte Costituzionale ha convocato la Camera di Consiglio per decidere presto sulla legittimità del referendum, dopo la campagna che ha ottenuto già una prima vittoria, nel dicembre del 2024 con 600mila firme. Potrebbe mettersi bene, incrociamo le dita.
E a proposito di seconde generazioni, ho ammirato molto la calma e la pazienza di Nadir, amico di Ramy Elgaml, il 19enne morto lo scorso 24 novembre dopo un inseguimento dissennato da parte dei carabinieri. Nadir ha tenuto testa al fazioso conduttore del talk show Diritto e Rovescio, Paolo Del Debbio, dimostrando una capacità dialettica notevole e ricordando anche quanto sia complessa la questione generazionale che non può essere affrontata con l’accetta. Guardate il video della sua intervista e giudicate voi.
Una cosa è certa: ogni ragazzo che muore rappresenta il fallimento della società, un punto interrogativo per gli adulti, e la morte di Ramy poteva e doveva essere evitata. Detto questo, la discussione sulle seconde generazioni è controversa perché spesso si confondono il problema della sicurezza, le diseguaglianze, le pari opportunità con il diritto di essere italiani e italiane di chi è nato o cresciuto in Italia.
Voglio tornare sul caso di Naima Jamal, originaria di Oromia, una regione dell’Etiopia colpita dal duplice flagello della guerra e della siccità, costretta come tanti altri a tentare la strada del deserto per cercare di entrare nella Fortezza Europa in modo illegale. “I trafficanti hanno mandato ai suoi familiari un video in cui Naima viene brutalmente torturata e hanno inviato anche una foto, in cui si possono vedere più di 50 altre vittime, con i corpi incatenati e gli sguardi abbassati”, ha scritto il giovane prete don Mattia Ferrari che ha riportato le notizie di Refugees in Libya che documenta le barbarie in Libia e in Tunisia, archiviate perché arrivano meno migranti e ne muoiono di più in mare. Come mai tanta indifferenza? Forse la nostra capacità di focalizzare le catastrofi umanitarie dipende dalla percezione emotiva momentanea e poco ragionata. L’immagine cruenta di Naima legata e torturata era sulla prima pagina de La Stampa ma nessuno ha reagito, se non gli addetti ai lavori, i soccorritori e pochi altri. Per me resta una reazione incomprensibile ma tant’è.
Del resto, si fa fatica pure a parlare dei bambini di Gaza morti di gelo con fotografie e video insopportabili annessi, del loro diritto a nutrisi, a studiare e soprattutto a sopravvivere dopo un anno e mezzo di guerra, senza infilarci in polemiche insensate a colpi di slogan. E più l’orrore viene svelato dalle immagini e più la reazione sembra assuefatta
Voglio concludere con un’altra piccola ma buona notizia. Nuove Radici ha vinto un bando per partecipare con Ismu e la società cooperativa Lo Scrigno alla promozione di buone pratiche in occasione della XXI edizione della Settimana di azione contro il razzismo (17-23 marzo 2025) promosso dall’Unar, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali. Noi faremo la nostra parte con la promozione del protagonismo degli italiani con background migratorio, come abbiamo sempre fatto. Buon anno a tutti e soprattutto a quelli che non sono mai indifferenti perché, come scrisse Alberto Moravia, “Tutti gli uomini, senza eccezioni, sono degni di compassione, non fosse altro perché vivono.”
Leggiamo, facciamo cose e vediamo gente
📚 I libri di NRW: Una feroce libertà
Democrazia non è sempre sinonimo di libertà e giustizia. Negli Stati Uniti, da Rosa Parks a Black Lives Matter, la battaglia per il riconoscimento degli afroamericani non ha soste. In Francia, la culla della democrazia, è pure peggio. Gisèle Hamili (1927 – 2020) è stata un’avvocata, scrittrice e deputata francese di origini tunisine. Con alcuni processi passati alla Storia, ha impresso una fondamentale spinta alle lotte per i diritti civili. Nel 1971 ha fondato insieme a Simone de Beauvoir il movimento Choisir la cause des femmes. Gisèle fu sempre sostenuta da un gruppo di intellettuali e amici fra i quali Henry Cartier-Bresson. Fra le pagine di questa lunga intervista rilasciata a pochi mesi dalla sua scomparsa, oggi pubblicata in Italia da FVE col titolo Una feroce libertà, Gisèle Halimi ritorna sulle tappe essenziali del suo percorso, dall’infanzia tunisina agli albori del movimento Me too, ed esorta le nuove generazioni a costruire con selvaggia determinazione quel mondo equo per il quale ha lottato tutta la vita. Potete leggere la recensione di Una feroce libertà e un estratto del libro nella rubrica di Fabio Poletti su NRW.
Vi lascio con qualche suggerimento
👉 Il video dell’inseguimento che si conclude con la morte di Ramy Elgaml
👉 Il documento NÉ STRANIERI NÉ ITALIANI. CITTADINI SOSPESI, che la rete LINK 2007 ha appena diffuso in vista del probabile referendum.
👉 Il 23 gennaio uscirà nelle sale una commedia drammatica spiazzante sull’amore nella terza età e la libertà: Il mio giardino persiano. Presentato alla Berlinale, il regime ha impedito ai due registi Maryam Moghaddam e a Behtash Sanaeeha di uscire dall’Iran e presentare il film. Non perdetelo.
👉 Il video reportage di Laura Silvia Battaglia per la Rsi (Radiotelevisione svizzera in lingua italiana) dallo Yemen, dove è difficile se non impossibile entrare per i giornalisti, soprattutto se donne. E precisamente da Hodeida, città chiave per le milizie sciite Houthi: un porto commerciale ma anche un campo di battaglia.
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