Fortunata la terra che ha ancora bisogno di eroi. Come dimostra MUR di Kasia Smutniak
La newsletter di Cristina Giudici
Forse è il caso di archiviare la famosa citazione di Bertolt Brecht: “Sventurata la terra che ha bisogno di eroi”. In questa epoca drammatica abbiamo più che mai bisogno di eroi e di eroine. Di persone giuste che cerchino di contrastare la disumanizzazione. Come dimostra il bellissimo racconto di MUR, il documentario premiato con il Nastro d’Argento, interpretato e diretto dall’attrice italopolacca Kasia Smutniak.
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Kasia Smutniak ha visto e filmato il confine fra la Bielorussia e la Polonia, dove è stato costruito un muro lungo 187 km fatto di acciaio e alto oltre 5 metri per fermare i migranti che dalla Bielorussia arrivano nella foresta di Białowieża. Lo ha fatto con un lavoro straordinario dedicato agli attivisti spinti dall’urgenza di salvare i migranti intrappolati nei boschi della “zona rossa”. Un racconto che è anche un diario di bordo del suo ritorno a casa e la ricerca di un senso fra tanti muri in cui si è trovata a vivere, dato che lei è nata dall’altra parte della cortina di ferro.
MUR è stato scritto e girato con Marella Bombini. In una lunga e appassionata conversazione su Skype, Kasia mi ha raccontato cosa abbia significato per lei fare una lunga ricerca all’interno della “zona rossa” polacca, condividere le notti con gli attivisti e le attiviste che non sanno elaborare il dolore da cui vengono attraversati perché durante le loro missioni di salvataggio nei boschi hanno visto cose che li hanno segnati per sempre
Quel lungo giro nella zona rossa della Polonia avviato nell’agosto del 2021 e concluso dopo l’invasione russa in Ucraina, le ha permesso di incontrare tanti Giusti e Giuste che sfidano la legge e fanno salvataggi notturni dei migranti e le ha confermato la sua fiducia negli esseri umani che sanno stare dalla parte giusta, pagando un prezzo altissimo. Il suo dilemma, alla fine della ricerca del muro che divide in due la foresta di Białowieża, è un grande punto interrogativo. «Come è possibile che chi ha accolto i profughi ucraini abbia al contempo costruito un muro per impedire ad altri rifugiati di entrare in Europa? Questa è una cosa che mi spacca», mi ha detto.
Il muro è stato terminato e la guerra in Ucraina non è ancora finita. La Polonia vuole rafforzare la frontiera orientale con la Bielorussia e Putin ha intensificato la sua offensiva bellica contro l’Ucraina, che vorrebbe far diventare il capro espiatorio del brutale attentato commesso dall’Isis-K, per manipolare l’eccidio avvenuto alla periferia di Mosca e usarlo nella sua battaglia contro l’Occidente.
MUR non è un reportage ma un diario intimista sulle emozioni di chi salva gli esseri umani, ma anche sulle sue di emozioni dopo che è tornata in Polonia per ritrovare le proprie radici: a Łódź, dove la regista giocava da bambina vicino al muro del cimitero ebraico del ghetto di Litzmannstadt. E poi a Zamość, dove vive ancora parte della sua famiglia paterna
Kasia Smutniak non ha voluto raccontare la tragedia dei migranti ma indagare sui sentimenti degli attivisti che non dormono la notte perché aspettano una richiesta di aiuto dai boschi, non riescono a scaldarsi vicino a un caminetto perché pensano a chi dorme al gelo nella foresta e soffrono perché non possono salvarli tutti. MUR è dedicato anche a chi appende le lanterne verdi sull’uscio di casa per segnalare ai profughi dove possono trovare accoglienza e un aiuto a superare il muro. Come Mariusz, che è un muratore e organizza i salvataggi notturni dei migranti per evitare che muoiano sbranati da animali selvatici, di stenti o che finiscano nei centri di accoglienza e detenzione polacchi.
Mariusz le ha raccontato dei bambini che ha portato fuori dalla foresta di notte, nelle sue braccia, e poi l’ha condotta nel bosco dove anche Kasia aveva uno zaino enorme sulle spalle con il kit di sopravvivenza e un fardello sul cuore per cercare di “esfiltrare” le famiglie dalla foresta. Oppure Zosia, che coordina i salvataggi e le ha parla delle centinaia di cadaveri ritrovati nella foresta. O ancora Ewa, che vive anche lei nella zona rossa e, per quanto sia devastata dal suo impegno, le dice che sta facendo e continuerà a fare la cosa giusta.
Kasia Smutniak mi ha detto che quel muro le è rimasto dentro, che le ha cambiato la vita, le ha imposto di andare avanti con ancora maggiore sensibilità artistica (che già la caratterizza) a indagare sulle ingiustizie e sulla genesi dei sentimenti che rendono l’essere umano un eroe che si oppone alla disumanizzazione. Perciò penso che non sia sventurato il Paese che ha bisogno di eroi, ma al contrario ritengo che in questo mondo sventurato sia necessario avere degli eroi che tengano accese le lanterne per tutti.
Leggiamo, facciamo cose e vediamo gente
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