Fa caldo e c'è la guerra, ma non ignorate i no alla cittadinanza semplificata
Pensieri e racconti intrecciati dalle Nuove Radici
Entrata nel mio seggio elettorale per votare ai referendum il 9 giugno scorso, ho sbirciato nella lista degli elettori, scoprendo che tanti avevano cognomi stranieri. E allora ho sentito l’urgenza di fare un’indagine in mezzo al frastuono delle guerre, l’attacco all’Iran (!!), i pensieri avvelenati e contrapposti senza se e senza ma che hanno liquidato troppo frettolosamente i temi legati ai nostri diritti. Perciò ho seguito un flusso elettorale difficile da tracciare statisticamente: quello degli italiani con background migratorio, perché il buco nero in cui siamo finiti non dovrebbe farci perdere il senno e la visione di ciò che accade intorno a noi. Nella mia città, Milano, dove l’affluenza ha raggiunto circa il 37 per cento, i no alla cittadinanza relativamente più breve sono stati la metà e in alcuni quartieri multiculturali oltre il 50% ( con un terzo circa di astensioni). E allora ho seguito un altro flusso: quello dei pensieri di adulti, giovani, donne e uomini che hanno votato no o non sono andati a votare. Rim ad esempio. Tirocinante di origini egiziane in un noto studio legale, non ha fatto fatica a prendere la cittadinanza perché figlia di cittadini diventati italiani molti anni fa. Il suo no non accetta obiezioni perché ritiene che 5 anni di residenza (che poi diventano 8/9 con tutti i paletti della legge in vigore) siano troppo pochi per essere parte della società con conseguenti diritti e doveri. Eppure lei è una giovane donna emancipata che si è opposta al matrimonio combinato con un cugino.
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