Cindy Ngamba e il tifo per la squadra dei rifugiati che a Parigi gioca per tutti
La newsletter di Cristina Giudici
Ciao a tutti e a tutte, questa è l’ultima newsletter prima della tregua estiva e ho deciso di dedicarla alle storie straordinarie degli atleti e delle atlete che partecipano ai Giochi Olimpici di Parigi nel team dei rifugiati. Atleti che non possono ancora rappresentare la loro nuova casa dove hanno trovato rifugio dopo essere scappati dai loro Paesi di origine. Sono professionisti fuggiti da guerre e persecuzioni e giocano per tutti, per ricordarci che lo sport deve essere inclusivo ma anche rammentarci quanto i diritti umani siano un patrimonio dell’umanità.
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Dall’italia sono arrivati a Parigi due iraniani che sono fuggiti dal regime degli ayatollah. Iman Mahdavi, classe 1995, è specializzato nella lotta libera. Ha iniziato a praticare all'età di 15 anni, seguendo le orme del padre ed è arrivato in Europa attraverso la rotta balcanica. Grazie all'aiuto del club Lotta club Seggiano, dove si allena, e della Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali ha potuto intraprendere il programma del Comitato olimpico internazionale (CIO) per gli atleti rifugiati, che gli ha garantito un sostegno economico per la preparazione sportiva sino al 2024. E ora tutta la cittadina di Pioltello tifa per lui perché porti a casa una medaglia e dimostri l’inestimabile valore della libertà.
È iraniano anche Hadi Tiranvalipour, taekwondoka iraniano, già campione d'Asia e cacciato dalla tv iraniana dove conduceva un programma per aver difeso la rivoluzione Donna, Vita e Libertà. Vive a Roma e dopo essere stato selezionato ha dichiarato “Vorrei essere un esempio per i 100 milioni di rifugiati che hanno perso la loro terra e la loro bandiera".
Fra i 37 atleti che parteciperanno alle competizioni di 12 discipline sportive, ci sono tantissime donne che ci raccontano cosa siano la tragedia di un rifugiato e la poesia dello sport. Come Cindy Ngamba, nata in Camerun e trasferita nel Regno Unito all'età di 11 anni che è la prima pugile rifugiata a essersi qualificata per i Giochi Olimpici. Leggete la sue parole, senza filtri. Sono magnifiche.
Sono arrivata in Gran Bretagna quando avevo soltanto 11 anni e ormai ho trascorso più anni qui di quanti non ne abbia passati in Camerun. All’inizio fui sopraffatta da tutto. Lo stile di vita era completamente diverso da quello a cui ero abituata. Era tutto eccitante e veloce. Anche troppo, veloce. Facevo fatica ad imparare l’inglese, e spesso a scuola venivo bullizzata per il mio accento pesante. Ero solo una bambina, ma ricordo ogni minimo dettaglio. Ogni parola. Ogni offesa. Per quanto possa essere un cliché, mi hanno reso infinite volte più forte. Smontandomi ogni giorno e obbligandomi a ricostruirmi ogni notte. Più spessa. Più dura. Più Cindy, ha scritto su The Owl Post
Un riscatto, il suo, che va di pari passo con la sconfitta. Come quando l’hanno minacciata di rimandarla in Camerun, dove lei, omosessuale, avrebbe rischiato il carcere. Oppure quando ha chiesto di diventare cittadina britannica, invano. “Per tanti anni ho tentato di diventare una cittadina britannica.Per rappresentare la Federazione che mi aveva accolta e protetta quando ne avevo più bisogno. Senza successo”, ha scritto. E allora quando mi hanno proposto di unirmi all’IOC Refugee Team, sempre grazie al supporto della Federazione, ho detto di sì, con orgoglio. Ho detto sì, anche se la prima volta che mi hanno chiamata “rifugiata” ho provato un imbarazzo profondo, perché mi sono sentita impotente, indifesa. Sola. Per la prima volta nella mia vita” E ora ha abbracciato il senso di questa opportunità, ha capito il suo valore, il suo significato. Perché Cindy Ngamba rappresenterà milioni di persone, molte delle quali, non avranno neppure la possibilità di guardare i Giochi ma rappresenterà anche noi che continuiamo a difendere l’azzoppata democrazia europea e l’urgenza di credere nei diritti umani per tutti.
Leggiamo, facciamo cose e vediamo gente
📚 I libri di NRW: Tremore
Tremore è il terremoto che si abbatte su Haiti e sull’Iran. Tremore è la nostra epoca su cui si è abbattuto il Covid. Di Tremore sono fatte le relazioni personali tra i protagonisti di questo libro e pure nei rapporti interpersonali, in un’America che fa ancora fatica a viversi multietnica. Ma dentro c’è tanto altro, una nota positiva fatta di musica e di balli, di divertimento e spensieratezza come ogni volta la vita ci regala. Lontano dalla scrittura militante, in questo Tremore pubblicato da Einaudi, lo scrittore Teju Cole affronta anche – esperienza personale, racconta in mille interviste – cosa voglia dire essere nero in un mondo di bianchi, anche tra le élite intellettuali di un Paese come gli Stati Uniti, che ancora fatica a fare i conti con il suo più oscuro passato. Teju Cole, nato nel 1975 a Lagos in Nigeria dove è poi cresciuto fino ai 17 anni quando si è trasferito negli Stati Uniti, vive a Cambridge in Massachusetts. Scrittore, storico dell’arte, fotografo, insegna scrittura creativa ad Harvard. Tremore è stato nominato tra i libri dell’anno dal Washington Post e dal Times. È la storia di Tunde, un professore universitario africano, con una relazione sentimentale in crisi con la sua compagna giapponese Sadako, nella bianchissima università del New England. Tunde è un fotografo che vive da quasi trent’anni negli Stati Uniti. Le sue radici, però, sono nella caotica e contraddittoria Lagos, terra di martiri e peccatori, di progresso e superstizione. Sposato e senza figli, insegna a Harvard, il tempio della cultura americana, e si è fatto un nome nell’elitario mondo dell’arte, ma resta un nero in un mondo a misura di bianchi. E da outsider vede quello che sfugge a chi non conosce, né riconosce, che il proprio punto di vista: il sottinteso nell’espressione “terribile tragedia”, il passato schiavista in uno dei campus più prestigiosi d’America, la violenza dietro le opere d’arte custodite con ogni cura in eleganti musei come il Museum of Fine Arts di Boston. Il razzismo è ovunque. Spiega anche perché Samuel Little, il serial killer che ha mietuto più vittime nel Paese, risulti praticamente sconosciuto al pubblico perché si accaniva quasi esclusivamente su donne nere. In Tremore Teju Cole mescola voci, temi e generi, tratteggiando una modernità in cui la narrazione del mondo propagandata dalla ricca America bianca vacilla sotto i colpi di una logica ferrea. La recensione di Tremore a cura di Fabio Poletti per NRW.
In pochi lo sanno, ma il primo giovedì di ogni mese a Milano dal 2015 si tiene una marcia in memoria dei nuovi desaparecidos di questo millennio che nessuno cerca, tranne i familiari: i migranti scomparsi alle frontiere o durante il viaggio. La rete internazionale Missing at the borders è composta da attivisti di diverse organizzazioni che si trovano su entrambe le sponde del Mediterraneo. Su GariwoMag potete leggere la storia di Edwin Jara che avrebbe avuto diritto a un visto perché ha una famiglia diventata italiana e invece è scomparso alla frontiera fra la Turchia e la Grecia.
✌🏽 Le vittorie dei cestisti del Sud Sudan
La gaffe clamorosa con l’inno sbagliato alla presentazione e poi, dopo un avvio difficile, Jones e Shayok mettono Porto Rico nel canestro (90-79). Nove dei dodici giocatori hanno sperimentato la guerra civile sulla propria pelle. L’articolo su HuffPost.
💣 Ora il Libano spaventa: il governo invita gli italiani a rientrare
Nonostante gli attacchi di Hezbollah e dell’esercito israeliano siano stati costanti a partire dal 7 ottobre scorso, non si era mai arrivati alle tensioni raggiunte nel fine settimana dopo che un missile partito dal Libano ha ucciso 12 bambini della comunità drusa del Golan. L’editoriale di Youssef Hassan Holgado sul Domani.
🎙️ Podcast: Sailor
Anatomia del corpo attraverso la moda. Perché parlare di moda non vuol dire parlare solo di vestiti.
Con Sailor vi auguro un’estate di navigazione fuori dal porto
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Sono tempi complicati ma ci ritroveremo dopo la pausa estiva 🕊️