Aprile ama essere cattivo o all'inizio o alla fine. Viva il 25 aprile delle donne che combattono per la liberazione
La newsletter di Cristina Giudici
Nour, luce. È il nome del piano delle forze dell'ordine della Repubblica Islamica nelle strade dell'Iran per far rispettare i principi di "hijab e decenza" alle donne. Dal 13 aprile. La polizia morale e la coercizione per l'obbligo del velo non sono una novità e non risalgono alla morte di Mahsa (Jina) Amini
A pochi giorni dal 25 aprile, ho chiesto all’attivista italoiraniana e traduttrice Leyla Mandrelli di parlarci del progetto Nour, adottato recentemente dalla polizia morale per trascinare le donne nelle camionette e arrestarle. Schiacciati dal pensiero bipolare su Palestina e Israele, ci dimenticheremo ancora una volta di loro: le donne iraniane che attraverso la disobbedienza civile stanno lottando per la democrazia in Medio Oriente e ricordando a tutti il prezzo della libertà.
Vi trovate sulla newsletter di NRW dedicata a tutte le diversità del mondo e potete iscrivervi qui senza pagare il biglietto👇🏽
Scrive Leyla Mandrelli
La strada delle donne iraniane per conquistare il diritto di esistere e di essere sé stesse, che non sono la stessa cosa, parte da lontano ma soffermiamoci solo dopo la Rivoluzione islamica del 1979. Per anni si sono sdoppiate, frantumate, hanno accettato pesanti compromessi. Dal velo più austero e dai colori scuri nelle scuole, nelle università e negli uffici pubblici a quello più soft e colorato, come conquista - in una sorta di auto-tranello mentale inconsapevole ma non senza conseguenze - raccontandosi che alla fine il velo è un fatto scomodo, sì, ma non fondamentale perché tanto le vere libertà e i veri diritti sono altro. Per anni, pur avanzando sempre di più verso quell'essere sé stesse, non erano mai arrivate a dire NO! insieme e definitivamente, a quel velo imposto, che hanno compreso essere il fondamento della tirannia da dover combattere, quindi, con coraggio, determinazione e perseveranza. È accaduto dopo il 16 settembre del 2022 e l'inizio della rivoluzione di Donna, Vita, Libertà. Lì hanno deciso che non potevano più fare a meno di essere sé stesse. Che era come l'aria. Che era per non impazzire. Solo sé stesse. Sempre. Dentro e fuori casa. Negli spazi privati e in quelli pubblici. Nello specchio in cui si guardavano e nel riflesso della loro mente. Nella loro coscienza. Nella loro vita tutta. Non volevano più vivere in esilio da sé stesse. Volevano che il dentro e il fuori coincidessero. Quel velo-vessillo del regime dittatoriale religioso, quel vessillo (nell'etimo latino, diminutivo di velo), forma e sostanza dell'apartheid di genere, nelle loro vite non ci sarebbe più stato. Per questo non sono state più pietre pazienti ma pietre rotolanti. Inarrestabili. Perché se hai detto NO! una volta, sarà NO! fino alla fine e quel velo te lo sarai tolta per sempre non solo da sopra la testa ma anche da dentro la testa, senza ritorno.
Come ha fatto Aida Shakarami, 24enne arrestata qualche giorno fa e ora in carcere, che nonostante abbia perso la sorella Nika di 16 anni, uccisa barbaramente nel settembre 2022 per la libertà, ha continuato a dire NO! Oggi la presenza massiccia della polizia morale è da considerarsi una guerra. Feroce. Una guerra contro le iraniane e l'esercizio del loro diritto di cittadinanza ovunque senza doversi più "mascherare" e autocensurare. Come detto dalla Premio Nobel per la pace Narges Mohammadi nel messaggio vocale del 21 aprile filtrato fuori dal carcere di Evin dove è rinchiusa: "Come in ogni guerra, o saranno le donne iraniane a morire uccise nella lotta quotidiana per la libertà oppure sopravviveranno e vinceranno contro il regime". Questo il regime lo sa e vede in loro il nemico più pericoloso e insidioso da annientare. Una rivoluzione femminile, non femminista, uno sconvolgimento di costumi che potrà trainare tutta la società verso la libertà, la giustizia, i diritti umani e la democrazia. Ormai, oggi e d'ora in avanti, per le donne iraniane resistere e vincere sono e saranno sinonimo di essere sé stesse. Condannate a vincere. A essere luce vera contro il buio dell'oppressione.
A pochi giorni del 25 aprile, voglio ricordare anche il sacrificio di tante donne palestinesi, simbolicamente ritratte da una immagine potente che ha vinto il World Press Photo: si intitola “Una donna palestinese abbraccia il corpo del nipote” ma la fotografia del palestinese Mohammed Salem è stata soprannominata La Pietà di Gaza. Ritrae Inas Abu Maamar: una donna di 36 anni che culla il corpo della nipote Saly di cinque anni che è stata uccisa, insieme alla madre e alla sorella, quando un missile israeliano ha colpito la loro casa a Khan Younis.
Voglio anche dedicare il 25 aprile alle donne israeliane che ogni giorno scendono in piazza a Tel Aviv per chiedere la liberazione degli ostaggi e protestare contro il governo guidato da Netanyahu. E alle donne sia ucraine sia russe che lottano contro la guerra di Putin attraverso la disobbedienza civile e l’arte. Al netto delle polemiche che volutamente ignoro, saranno loro a ricordarci il valore della giornata della liberazione dal nazifascismo.
Leggiamo, facciamo cose e vediamo gente
📚 I libri di NRW: La famiglia
Pulizia etnica sembrerebbe pure una bella parola, con quel richiamo al lindore. E invece è la cosa peggiore che ci sia nella relazione tra esseri umani, perché chi la fa pensa di agire per salvaguardare la purezza della sua etnia e per questo è pronto ad usare ogni mezzo. Lo hanno fatto i nazisti con gli ebrei, i turchi con gli armeni e nel 1994 – trenta anni fa di questi giorni – gli Hutu contro la minoranza Tutsi in Ruanda. Si calcola che dal 7 aprile al 15 luglio di quell’anno, siano stati massacrati a colpi di machete oltre un milione di Tutsi. Di questo parla La famiglia, il libro di Pietro Veronese pubblicato dalle Edizioni e/o. Pietro Veronese, nato a Roma nel 1952, giornalista, ha lavorato per trent’anni a Repubblica, dove è stato inviato speciale e caporedattore Esteri, occupandosi in particolare di Africa a sud del Sahara. I giovani Tutsi scampati a quella strage, rimasti senza nessuno, profondamente feriti nell’anima, inventarono una forma di sopravvivenza unica al mondo. Formarono delle “famiglie d’elezione”, unendosi e nominando tra di loro un padre e una madre che assumessero nella loro vita quei ruoli perduti per sempre. Una di queste famiglie si è formata tra persone che il destino ha portato a vivere e incontrarsi in Italia. Riunisce donne e uomini che al momento del genocidio non si conoscevano, avevano età diverse, dai 4 ai 33 anni, e vivevano in luoghi e contesti diversi all’interno del loro paese. Trent’anni dopo, nove di loro hanno deciso di testimoniare in prima persona la propria storia, componendo un racconto corale di dolore, tragedia, ritorno alla vita, amore e speranza. La recensione e un estratto del libro La famiglia di Fabio Poletti per NRW.
We 💙 Europe
La newsletter che dovreste leggere per capire l’Europa e le elezioni di giugno. E non solo se siete under 25.
🪖 INUMANA: lo spettacolo che dovreste vedere per capire il Medio Oriente delle persone
Nel melologo in quattro atti per pianoforte e voce composto e suonato da Rossella Spinosa, scritto e interpretato dalla giornalista Laura Silvia Battaglia, si ascolta una voce calda e appassionata, spesso emozionata, che ha scavato nei sentimenti di diversi personaggi, protagonisti della guerra in Medio Oriente. Con uno sguardo che non si può ignorare. Con delle lacrime che non si può fare a meno di piangere. Rossella Spinosa, pianista e compositrice di musica contemporanea, interagisce con una composizione ispirata alla guerra che è potente. Qui il racconto.
🎙️ Podcast: Daily cogito
Il podcast contro la zombificazione creato da Rick DuFer che dovreste ascoltare per ravvivare i vostri neuroni
Grazie di aver letto la newsletter di NRW dedicata a tutte le diversità del mondo, potete iscrivervi qui senza pagare il biglietto 👇🏽
Sono tempi complicati, non perdiamoci di vista, a martedì prossimo 🕊️